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A Raffaella Cavone il premio America Giovani: «Già da bambina scrivevo sentenze» – L’INTERVISTA

Cervelli che restano e che colgono le occasioni offerte dal proprio territorio; la bella gioventù che s’impegna e guarda con fiducia a un futuro lavorativo.

Raffaella Cavone ha 22 anni, parla velocemente e con chiarezza e i suoi pensieri manifestano una maturità notevole. È nata a Bari e il suo percorso formativo, fino alla laurea in Legge all’università “Aldo Moro”, è tutto barese e decisamente brillante. Fin qui la storia assomiglia a tante altre, vedi le vicende di quelle ragazze in gamba che non scelgono di frequentare l’università in giro per il mondo.

Cosa c’è di più in questo caso? Un invito speciale dalla Fondazione Italia Usa. Il 9 settembre Raffaella è attesa a Roma, alla Camera dei deputati, per ricevere il prestigioso premio “America giovani” al talento universitario, un riconoscimento per neolaureate e neolaureati meritevoli in diverse discipline: ogni anno mille eccellenze, in Italia, provano un’emozione da ricordare e da far fruttare.

Raffaella, sorpresa? Il 15 aprile scorso ha provato la gioia della laurea in Giurisprudenza con il massimo dei voti, 110 e lode con menzione, e il 15 luglio un’altra notizia tutta da vivere.

«Sono felice e non mi aspettavo una simile chiamata».

La prima cosa che ha fatto?

«Informarmi sulla Fondazione e capire che si tratta anche di una bella opportunità. Non sono ammesse autocandidature. I giovani, oltre a ricevere la pergamena durante la cerimonia, hanno la possibilità di immatricolarsi gratuitamente a un master online in “leadership per le relazioni internazionali e il Made in Italy”. Un corso di specializzazione della durata di 12 mesi. Un bel biglietto da visita per il mondo del lavoro».

Facciamo un passo indietro: si è diplomata al liceo classico “Quinto Orazio Flacco” con indirizzo internazionale e della durata quadriennale, brava anche tra i banchi di scuola?

«Mi è sempre piaciuto studiare, senza mai toglier tempo alle mie passioni come il tennis, il nuoto e la danza. Non sono una secchiona, mi piace la vita sociale ma aprire libri, leggere e imparare cose nuove mi ha sempre affascinata e mi sono entusiasmata verso le materie umanistiche. Da bambina mi divertivo a “scrivere” le sentenze».

Ha vissuto e vive in una famiglia dove il diritto è pane quotidiano. I suoi genitori, entrambi giuristi, l’hanno stimolata?

«Inconsapevolmente, direi. Le dico che mio padre, dopo la maturità, voleva che scegliessi Medicina e mi iscrisse a vari test d’ingresso in diverse sedi, sperando in una mia carriera da medico. L’ho accontentato, ho provato a superare quei test ma nella mia mente c’era già e solo il diritto».

Durante la seduta di laurea magistrale ha affrontato l’argomento della maternità surrogata, la tecnica di fecondazione assistita in cui la donna porta avanti una gravidanza per conto di persone che poi diventeranno i genitori del nascituro. Come mai questa scelta?

«È un tema attuale, solleva dibattiti e mi riferisco alla Corte costituzionale che ha dichiarato inammissibile la questione. La discussione di laurea è durata 20 minuti, più del consueto. Mi sono laureata con il professor Domenico Costantino e colgo l’occasione per esprimere la mia riconoscenza nei confronti della formazione dell’università pubblica, spesso sottovalutata; tanti preferiscono andare in altre città».

Le piace la politica?

«Seguo quella nazionale e credo che in questo momento ci sia un problema di governance a livello globale e tutto ricade sulla nostra vita quotidiana».

Cosa vuol fare da grande?

«Vorrei diventare un magistrato. A maggio ho iniziato un tirocinio formativo che consiste nell’affiancare un magistrato. In più sto svolgendo la pratica forense».

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“Aiutami a guardare”, Nunziante a Rosa Marina: «Io giornalista per caso» – L’INTERVISTA

Se non avesse fatto il giornalista televisivo sarebbe stato un insegnante di Lettere o di Storia dell’arte. Empatico, entusiasta, spontaneo e con un tocco di romanticismo; il tratto distintivo di Nando Nunziante, volto noto di Tgr Puglia, è il suo essere appassionato, per tutte le forme del sapere, dalla musica alla lettura, dall’arte ai film o allo sport, “perché la conoscenza rende liberi”. Non solo; un’energia e una carica vitale quasi uguale a quella che avvolge i bambini. Barese, classe ‘68 e una spigliatezza che traspare dallo schermo Tv. Venerdì 9, alle 19, il giornalista radiotelevisivo con la passione delle moto, presenterà il suo romanzo sulla spiaggia Rodos del Consorzio di Rosa Marina, uno dei luoghi del cuore dei suoi anni di gioventù.

Tra gli inizi da stagista e poi gli anni di professione, ne sono trascorsi ben 27. Più di cinque lustri vissuti nel mondo del giornalismo affrontando servizi di ogni genere; è ancora legato alla passione dell’insegnamento?

«Un’idea che non mi ha mai abbandonato. Da piccolo amavo scrivere e la maestra delle scuole elementari, all’Istituto Di Cagno Abbrescia, lì dove ho studiato fino al liceo classico, mi invogliava e mi spingeva a continuare su questa strada. Quell’insegnante che all’epoca tanto ha mi ha trasmesso l’ho poi rincontrata di recente, durante una mia presentazione alla Feltrinelli e ci siamo abbracciati sul filo di quella penna che non ha mai smesso di scrivere. Colgo l’occasione per raccontare che due anni fa, ed è accaduto anche altre volte e in altri luoghi, ho organizzato una festa a fini benefici proprio in quell’Istituto dei miei anni verdi. Il ricavato è stato poi devoluto ad associazioni varie ed è stata una grande emozione».

Torniamo alle lettere, le sarebbe piaciuto navigare nel mare suggestivo della parola e dell’immaginazione poi, come mai la laurea in Giurisprudenza?

«È vero, al principio volevo assecondare le mie attitudini e scegliere la Facoltà di Lettere o Psicologia ma mio padre, magistrato, mi consigliò e indicò il cammino che prevedeva più sbocchi lavorativi e io da figlio decisamente vivace ma ubbidiente lo ascoltai. Mi son sempre sentito un ragazzo fortunato, circondato dagli affetti familiari e ho un senso di profonda gratitudine. Successivamente i miei studi per le materie letterali, a Roma, sono stati quelli della passione vera»

Come è sbarcato in Rai?

«Per un caso, io non avevo mai pensato di fare il giornalista; ripeto, volevo insegnare all’Università o a scuola. Una mia amica di Roma mi segnalò un concorso in Rai a Perugia e mi convinse a tentare. Lo superai ed eccomi qui».

Soddisfatto? Una brillante carriera, un bel traguardo, come quello del ruolo di caposervizio al Tgr di Bari.

«Sono contento ma non sono un carrierista, amo invece, visto che sono un “ragazzo mai cresciuto”, coltivare le mie passioni e da persona curiosa, viaggiare e conoscere nuove realtà. Mi piace guardare al mondo con un principio di condivisione».

Da quel lontano stage alla BBC, nel 1999, quando raggiunse la Patagonia per un documentario ai primi servizi con la famosa giornalista Milena Gabanelli, quale vicenda è rimasta impressa nella sua mente?

«Diverse ma la differenza l’hanno fatta le rubriche sul sociale. Conoscere persone meno fortunate, raccontare le loro storie spesso piene di dignità e di voglia di rialzarsi è un qualcosa che non dimentico»

Tornando all’universo dell’immaginazione, deduciamo che abbia realizzato un sogno con il suo primo lavoro di penna “Aiutami a guardare” (Gelsorosso). Un romanzo quasi autobiografico dove la parola ha un potere evocativo.

«Si, sognavo di fare lo scrittore ma mi sembrava sempre troppo arduo. Ora è realtà»

E il significato di “Aiutami a guardare”?

«Abbiamo bisogno degli altri, sempre, riconoscendo la nostra finitezza e in un mondo che scorre velocemente c’è l’esigenza di guardare in profondità».

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