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Tu non puoi capire – I maleducati in vacanza

«Antonioooo». «Annaaaa». Urla di una magica estate. Ah, l’educazione! Quel concetto sfuggente che spesso viene messo alla prova nelle situazioni più banali e quotidiane. Sì, perché mentre parliamo di grandi ideali e valori, a volte basta una vacanza per ricordarci quanto sia fondamentale. Chi meglio degli italiani in vacanza per offrirci un’illustrazione vivida di questo fenomeno?

Il turismo caf

Immaginate una spiaggia affollata in pieno agosto. Il sole splende, il mare è incantevole, e l’aria è riempita… dalle urla di una mamma che cerca di richiamare il figlio, impegnato a costruire un castello di sabbia a due chilometri di distanza. «Giorgiooo! Vieni a mettere la crema solare!». Si sente l’eco fino alla costa opposta. E lì capiamo: l’educazione è anche saper modulare il volume della voce. Queste mamme sono vere e proprie direttrici d’orchestra, capaci di gestire un’intera sinfonia di richiami e raccomandazioni. Se il piccolo Giorgio non ascolta, l’educazione passa alla modalità “megafono”. Dopotutto, cosa sarebbe una vacanza senza un po’ di dramma familiare? E quando finalmente Giorgio si presenta, la scena si conclude con un abbraccio appiccicoso di crema e sabbia.

Gli italiani all’estero

Il fenomeno del riconoscimento non si limita al territorio italico. Parliamo ora degli italiani all’estero, un’altra situazione in cui l’educazione gioca un ruolo cruciale. Non importa che si trovino in un elegante bistrot parigino o in un tranquillo villaggio delle Alpi svizzere: gli italiani si fanno sempre riconoscere. È un’arte, quasi un talento innato. Chi non ha mai assistito alla scena di un gruppo di italiani che discutono animatamente sul miglior modo di cucinare la pasta, ignorando completamente il fatto che si trovano nel cuore della Foresta Nera? Ecco, in questi momenti ci si rende conto che l’educazione non è solo la capacità di adattarsi ai contesti, ma anche di portare un po’ di casa ovunque si vada, per quanto sia rumorosa. Proviamo a immaginare una tipica cena in un ristorante all’estero: un cameriere che tenta di spiegare il piatto del giorno, mentre un gruppo di italiani discute calorosamente se il sugo alla carbonara vada fatto con la pancetta o il guanciale. Il povero cameriere, spaesato, si rifugia in cucina, mentre gli altri clienti osservano divertiti.

L’analisi

Ma perché questo accade? Forse è il bisogno di sentirsi a casa in un mondo sempre più globalizzato. O forse è semplicemente l’esuberanza italiana che non può essere contenuta. Qualunque sia la ragione, è chiaro che l’educazione gioca un ruolo cruciale. Educare significa anche saper ridere di sé stessi, riconoscere i propri limiti e, perché no, accettare che a volte le urla di mamma sono solo un modo per dire «ti voglio bene». In fondo, l’importanza dell’educazione sta proprio qui: nel trovare un equilibrio tra l’espressione della propria identità e il rispetto per quella degli altri. Un italiano che si fa notare in vacanza può essere visto come un ambasciatore del buon umore e della convivialità. Certo, a volte il volume è un po’ alto, e i danni sono sempre per chi cerca pace e subisce a scapito del proprio relax.

Il “viaggio”

Alla fine, l’educazione è un viaggio, non una destinazione. È il filo conduttore che ci accompagna dalla nostra infanzia, quando le urla di mamma ci sembravano assordanti, fino all’età adulta, quando ci rendiamo conto che erano solo un modo per tenerci al sicuro. E forse, la prossima volta che sentiremo un italiano discutere animatamente in un ristorante all’estero, sorrideremo, consapevoli che, in fondo, l’educazione è anche questo: l’arte di farsi riconoscere sempre. Aiuto! Che sia sulla spiaggia o in un ristorante all’estero, l’educazione è quella sottile linea che ci permette di essere noi stessi, senza mai dimenticare il rispetto per gli altri. E vorremmo tanto che fosse lo stesso anche per chi pensa che urla, schiamazzi e risate sonore siano la regola del nostro essere meravigliosamente italiani.

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Ora un patto contro la crisi idrica

Le trombe d’aria e le bombe d’acqua che hanno caratterizzato questo inizio di settimana hanno riacceso i riflettori su un tema di grande attualità come il cambiamento climatico. Dopo settimane di caldo torrido la zona di Putignano e il Salento sono stati interessati da nubifragi di inusitata intensità dopo un lungo periodo di siccità. Gli abitanti di Nardò e Galatone ricordano bene il quarto d’ora di grandine del 29 maggio scorso che ha devastato i raccolti, allagato diverse abitazioni e paralizzato il traffico cittadino.

Le analisi sulla precipitazione totale annua media sul territorio italiano, pubblicate dall’Istat, indicano una progressiva riduzione degli apporti pluviometrici. La riduzione delle precipitazioni, accompagnata dall’aumento delle temperature, porta a una minore disponibilità media annua della risorsa idrica, la cui stima relativa al trentennio 1991-2020 è di 133 miliardi di metri cubi, con una riduzione del 20 per cento rispetto al valore di riferimento del trentennio 1921-1950 (166 miliardi di metri cubi). Nel 2022 la disponibilità idrica nazionale ha raggiunto il minimo storico, quasi il 50 per cento in meno rispetto al trentennio 1991-2020. Di come conservare, utilizzare e condividere una risorsa così preziosa come l’acqua si è parlato durante il meeting di Rimini con esperti come Lorenzo Giussani, direttore Strategy & Growth di A2A, Giuseppe Catalano, capo di gabinetto della Regione Puglia, Alessio Mammi, assessore all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna, e Giangiacomo Pierini, direttore Corporate Affairs e Sostenibilità di Coca-Cola HBC Italia.

In Italia quasi il 50% dell’acqua dei nostri acquedotti viene persa. Questo speco rappresenta non solo una perdita economica, ma anche un problema etico e sociale. Infatti le difficoltà di approvvigionamento si registrano, guarda caso, proprio nelle aree più disagiate e spesso contribuiscono ai fenomeni di spopolamento di cui abbiamo spesso parlato.

La gestione delle risorse idriche richiede investimenti infrastrutturali, ma anche una revisione delle abitudini di consumo e una maggiore consapevolezza che l’acqua è una risorsa preziosa che non va sprecata. Il cambiamento climatico sta rendendo le precipitazioni sempre più erratiche, con periodi di siccità alternati a piogge intense, un fenomeno che mette a rischio la disponibilità e la qualità dell’acqua. In nostro clima sta cambiano molto più rapidamente che in passato e non riusciamo ad anticipare tali cambiamenti, aumentando così le disparità regionali e le opportunità di accesso all’acqua.

Serve quindi considerare il ciclo integrato delle risorse idriche, dalla produzione primaria all’uso industriale, seguendo un approccio olistico che garantisca una gestione sostenibile dell’acqua a lungo termine. Giuseppe Catalano, capo di gabinetto della Regione Puglia, ha offerto una prospettiva istituzionale sulla gestione delle risorse idriche pugliesi.

Come è noto la Puglia è priva di fonti proprie ed è fortemente dipendente da risorse idriche esterne. La Regione ha avviato una serie di iniziative per ridurre le perdite, migliorare l’efficienza delle reti e promuovere il riuso delle acque reflue, con l’obiettivo di raggiungere una maggiore autosufficienza. «Stiamo lavorando per consentire a tutti i nostri 185 depuratori di affinare l’acqua e restituirla all’uso soprattutto agricolo», ha spiegato Catalano evidenziando la necessità di un intervento pubblico forte e coordinato per superare le carenze infrastrutturali. Catalano ha inoltre richiamato l’attenzione sull’importanza di una gestione sovraregionale della risorsa idrica, non come un bene esclusivo di una singola regione, ma come un bene comune a livello nazionale. In Veneto, Coca-Cola ha collaborato con il Consorzio di bonifica veronese per la realizzazione di un’area forestale di infiltrazione, che permetterà di ricaricare la falda acquifera con 800mila metri cubi di acqua. Coca-Cola si stia impegnando a ridurre l’impatto ambientale dei propri stabilimenti, puntando a raggiungere un bilancio idrico positivo attraverso iniziative di compensazione e riciclo dell’acqua. Alessio Mammi, assessore all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna, ha illustrato le azioni intraprese dalla Regione Emilia-Romagna per migliorare la capacità di stoccaggio dell’acqua e per aumentare l’efficienza delle reti. Ha, inoltre, sottolineato l’importanza della ricerca tecnologica per sviluppare sistemi di irrigazione più efficienti e varietà di colture più resistenti ai cambiamenti climatici.

L’uso efficiente dell’acqua oltre a favorire la sostenibilità ambientale, può anche incrementare la produttività e l’efficienza economica. Serve promuovere il riciclo e il riuso dell’acqua e in investire in infrastrutture che permettano di stoccare la risorsa nei periodi di abbondanza per utilizzarla durante le siccità. Solo integrando gli sforzi e promuovendo una collaborazione tra pubblico e privato, si potranno affrontare le sfide future e garantire una gestione sostenibile e equa delle risorse idriche.

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I misteri del caso Bayesian

Non è una spy-story, è una tragedia. Eppure, mettendo in fila tutti gli accadimenti, ci sono molte cose fuori posto, molte coincidenze, molte negligenze; insomma, c’è troppo di tutto per essere un destino fatale. Andiamo con ordine: Bayesian è una barca a vela di 56 metri dei Cantieri Perini, di 473 tonnellate, con un albero di 75 metri e con una deriva mobile che può arrivare fino a 9,5 metri di profondità.

La proprietaria è la signora Angela Bacares, contitolare insieme al marito di un impero industriale e assicurativo. Il marito, non è un imprenditore qualsiasi, è Marck Linch, soprannominato il “Bill Gates d’Inghilterra”, è la principale mente della cyber-tecnology britannica e, forse, europea. Per festeggiare la sua assoluzione nel processo che lo ha visto imputato per una presunta frode nella vendita della sua società “Autonomy” alla Hewlett-Packard, per la fantasmagorica cifra di 11,7 miliardi di dollari, ha deciso di organizzare un viaggio a bordo di Bayesian, con gli amici che hanno avuto un ruolo nel processo e con alcuni suoi collaboratori. Hanno aderito all’invito: Chris Morvillo, che guidava lo staff di avvocati della difesa al processo e sua moglie; Ayla Ronald, anche lei avvocato che faceva parte del collegio di difesa; il presidente di Morgan Stanley, Jonathan Bloomer, che nel processo è stato il principale testimone della difesa e sua moglie; James Emsilie, stretto collaboratore di Linch, insieme alla moglie e alla figlia Sophie di un anno. E c’è anche Hannah, la figlia diciottenne di Mark Linch.

Avrebbe dovuto esserci anche Stephen Chamberlain, socio e coimputato insieme a Linch nel processo, ma ha preferito rimanere in Inghilterra.

Bayesian parte da Rotterdam intorno alla metà di luglio e fa rotta verso le Isole Eolie. Durante il tragitto, fa scalo in Normandia, in Portogallo a Gibilterra e arriva in Sicilia, nel porto di Milazzo, nella prima settimana di Agosto. Il 18 agosto Stephen Chamberlain, sta facendo jogging nelle tranquille campagne di Cambridge, mentre attraversa una strada, viene investito da un auto e muore. Anche Stephen Chamberlain non è uno qualsiasi; insieme a Mark Linch, nel 2013 fonda “Darktrace”, una società di cyber-sicurezza che utilizza l’intelligenza artificiale per rilevare gli attacchi informatici. In “Darktrace” entrano ex funzionari dei servizi segreti britannici e israeliani fino ad arrivare al coinvolgimento di sir Jonathan Evans, ex direttore generale dei servizi segreti britannici M15, che entra a far parte del comitato consultivo. “Darktrace” nel 2021 viene quotata in borsa e nel 2022 acquisisce per 50 milioni di sterline la società olandese Cybersprint, specializzata nella gestione di “superfici d’attacco”, aumentando capacità e prestigio internazionale.

Pare che, saputo della morte dell’amico Chamberlain, Mark Linch abbia chiesto all’equipaggio di fare rotta su Palermo, forse per un rientro anticipato in Inghilterra. E, arriviamo alla tragedia, in quello che in molti raccontano come fatalità. Sta di fatto che Bayesian – siamo nella serata di Domenica 18 – molla l’ancora nella rada di Porticello, a poche miglia dal porto sicuro di Palermo. Nella stessa rada è all’ancora un’altra imbarcazione che batte bandiera olandese. C’è un’allerta meteo, tant’è che nessun peschereccio lascia il porto di Porticello in quella notte. La tromba marina arriva alle 3.50; chi sa di mare, sa benissimo che i venti di tempesta si annunciano con un certo anticipo, l’acqua comincia a bollire sino ad arrivare al culmine, dove le onde si alzano a dismisura. Mentre la barca olandese appronta le procedure di emergenza e cioè, salpa l’ancora, sigilla l’imbarcazione e accende i motori, Bayesian rimane incomprensibilmente ancorato, con i motori spenti e, assurdo, con persone in cabina. Viene da pensare che nessuna delle procedure di emergenza sia stata messa in atto. Dalle 3.50 alle 4.06, Bayesian spacca l’ancora, scarroccia per 358 metri e affonda.

Dalla ricognizione del relitto emergono altre sinistre verità: la barca non presenta cedimenti strutturali, l’albero è integro e, assurdo ma vero, la deriva mobile che, se calata per la sua intera profondità avrebbe contribuito a contrastare i forti venti, stava calata a soli 3,5 metri di profondità. In questi venti di tempesta, il comandante della barca olandese, mette in acqua un gommone e salva 15 pesone; dieci sono dell’equipaggio.

Sono curioso di sapere cosa hanno fatto nei venti minuti prima e nei sedici della buriana. Nel frattempo, Recaldo Thomas, il cuoco di bordo, insieme a Linch e alla figlia Hannan, a Bloomer e alla moglie, a Morvillo e alla moglie, sono morti. Se questa è una fatalità io sono Napoleone Bonaparte.

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Investimenti, così il turismo può crescere

Sono trascorsi due anni da quando, su queste stesse colonne, si sosteneva la necessità di un salto di qualità per il turismo pugliese. La tesi era semplice: il comparto non può vivere di solo mare ma deve rafforzare i servizi offerti agli ospiti, se davvero vuole contribuire allo sviluppo dell’economia locale e scongiurare il rischio di essere superato da quelli di altre regioni meno affascinanti dal punto di vista naturalistico ma dotate di una cultura dell’ospitalità più solida. Dal 2022 a oggi, però, poco sembra essere cambiato: la Puglia è e resta una delle mete preferite dai turisti, a cominciare dal sottoscritto, ma quello “scatto in avanti” ancora non si è visto. Emblematica è quella frase – “Qui ci pensa il mare” – con la quale il sindaco di Brindisi ha risposto a chi gli contestava i pochi eventi organizzati in città nel corso dell’estate.

La questione può essere analizzata sotto molteplici aspetti, primo tra tutti quello del lavoro. Secondo i dati recentemente diffusi dall’Osservatorio Aforisma, in Puglia ci sono 13.391 aziende turistiche, pari a poco meno del 7% del totale nazionale, e i dipendenti sono 84mila, cioè il 6% del dato italiano, molti dei quali stagionali. Per questi ultimi la retribuzione media annua è di 9.211 euro, mentre nelle altre regioni si aggira intorno ai 12.800. Impietoso il confronto con Trentino-Alto Adige e Lombardia, dove la paga media tocca rispettivamente 18.349 e 15.549 euro l’anno.

Questo succede perché il comparto è ancora caratterizzato da una fortissima stagionalità legata al mare: molte strutture lavorano soltanto da giugno a settembre, dopodiché la loro attività rallenta fino alla totale sospensione. Nel complesso, l’ambiente del lavoro è problematico, instabile e con una copertura temporale ridotta. Ovviamente la bassa produttività, unita a un lavoro povero e precario se non addirittura irregolare, impedisce al turismo di incidere in misura “pesante” sulla produzione del pil. Il settore rappresenta sì una voce importante dell’economia locale, ma a livello strategico non è in grado di offrire spazi considerevoli. Anche perché presenta molte insidie soprattutto in occasione di crisi economiche globali, pandemie e cali della domanda. Due esempi: il crollo dei visitatori legato prima al Covid, con i lockdown che hanno paralizzato mezzo mondo, e poi alla guerra russo-ucraina, che ha fatto mancare alla Puglia un consistente numero di visitatori provenienti dall’Est europeo. Insomma, sono troppi limiti impediscono al turismo pugliese di diventare il settore di punto dell’economia locale.

Che cosa fare, dunque? Abbandonare il turismo, in un momento in cui la Puglia è la meta più gettonata in Italia, per investire solo ed esclusivamente su industria e manifatturiero, settori che rappresentano da sempre il motore della crescita? Certo che no. Sono due le strade da percorrere. La prima è curare la regione da quella “malattia della spiaggia” che vincola il lavoro di un intero settore al mare e, quindi, a quella stagionalità che non consente di creare ricchezza in modo stabile e duraturo. E, soprattutto, è indispensabile investire nella qualità dei servizi resa agli ospiti, in modo tale da intercettare un turismo altospendente (e non “straccione”, come avviene soprattutto in Salento) e incrementare così la produttività delle aziende. Gli strumenti ci sono: il Fondo rotativo delle imprese turistiche garantisce finanziamenti a tasso agevolato per gli investimenti tra mezzo milione e 10 milioni di euro, il Superbonus turismo 80% assicura un credito d’imposta fino a 100mila euro, i mini-Pia offrono agevolazioni alle aziende che ampliano, ammodernano o avviano il restyling delle strutture. In altre parole, bisogna investire nei servizi. Altrimenti il turismo rappresenterà per la Puglia un’occasione mancata.

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L’agosto difficile dei 5 stelle

Gli account social di Giuseppe Conte hanno perso in questo mese circa 7mila follower. A pagare il dazio più pesante è stato il profilo Instagram che è stato abbandonato da 3.227 follower e mancano ancora una decina di giorni alla fine di agosto. In verità, anche a Beppe Grillo non è andata proprio bene con altrettanti defollowing.

Comunque, a voler essere leggermente superstiziosi, attitudine in politica da sempre molto diffusa, agosto non è proprio un mese fortunato per Giuseppe Conte e per il MoVimento 5 Stelle. Nel 2018 ci fu il tragico crollo del ponte Morandi a Genova che causò non poche difficoltà al neonato esecutivo giallo-verde. L’anno successivo poi, nel 2019, il leader leghista Matteo Salvini, fino ad allora solido alleato, decise di aprire una improvvisa crisi “balneare” che portò alla conclusione anticipata del primo governo guidato da Giuseppe Conte e alla nascita di una nuova maggioranza con l’ingresso del Partito democratico, Articolo Uno e Italia Viva.

Così, la maledizione agostana si è ripresentata con tutto il suo carico di tensioni e fibrillazioni varie anche nel 2022. In quest’ultima occasione fu l’enfant prodige Luigi Di Maio a rinnegare l’ideologia grillina e trascinarsi in Impegno Civico, lista di scopo nata a sostegno dell’alleanza di centrosinistra, una numerosa pattuglia parlamentari grillini.

Questa volta, invece, a rovinare le tre settimane di vacanza che Giuseppe Conte solitamente trascorre nella sua Puglia, ci ha pensato direttamente e senza mezzi termini Beppe Grillo. Il fondatore e garante del M5S ha chiarito che «il simbolo, il nostro nome e la regola del secondo mandato, i tre nostri pilastri, non sono in nessun modo negoziabili, e non possono essere modificati a piacimento. Sono il cuore pulsante del MoVimento 5 Stelle, il nostro faro nella tempesta. Cambiarli significherebbe tradire la fiducia di chi ha creduto in noi, di chi ha lottato con noi, di chi ha visto in noi l’unica speranza di cambiamento reale».

La risposta di Conte, ovviamente, non si è fatta attendere rimettendo nelle mani degli iscritti la scelta delle nuove regole, nome compreso. Lo scontro a distanza tra i due leader pentastellati però ha eroso, per ora solo di qualche migliaio, la base dei rispettivi account social. Infatti, Giuseppe Conte dal primo al 22 agosto, ha lasciato sul selciato social ben 3.078 follower anche su Facebook che si sommano a quelli persi su Instagram e TikTok. Altrettanto, l’account X di Beppe Grillo è “dimagrito” di 2.174 follower, mentre la pagina Facebook si è assottigliata di altri 1.206 unità. Per ora, va detto, si tratta ancora di poca cosa rispetto ai milioni di follower, ma rimane significativo il fatto che questo calo sia conciso con un nuovo momento di tensione che evidentemente lascia disorientata la base dei militanti e dei follower.

Momenti di tensione anche a Bari, dove la nomina di Raffaele Diomede non è andata giù ai due consiglieri comunali eletti Italo Carelli e Antonello Delle Fontane che, in aperta polemica col segretario provinciale Raimondo Innamorato, hanno deciso di uscire dalla maggioranza del sindaco Vito Leccese: una vicenda che rischia di aprire una frattura insanabile all’interno del M5S anche a livello locale.

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Opportunità per i piccoli comuni

Sono 172 i milioni di euro a disposizione dei Piccoli Comuni italiani per riqualificare e mettere in sicurezza i propri territori sono sicuramente una buona notizia e un segnale concreto, e per certi versi straordinario, di attenzione nei confronti dei paesi con meno abitanti. È normale, quindi, che il Ministro Musumeci saluti con soddisfazione la pubblicazione della graduatoria con i progetti ammissibili a finanziamento. Così come è assolutamente legittimo il compiacimento delle amministrazioni locali che sono riuscite a tagliare il traguardo. I numeri, tuttavia, dicono anche altro.

Su 2.638 istanze presentate e 1.179 progetti ammissibili, gli interventi finanziati sono solo 144. Senza ulteriori fondi, quindi, rischia di essere vanificata la grande partecipazione e l’enorme sforzo progettuale prodotto da centinaia di Piccoli Comuni.

Il tema non sfugge neanche al ministro che difatti si è pubblicamente impegnato “a trovare nuove somme al fine di venire incontro alle esigenze del maggior numero possibile di Comunità”.

Il vero salto di qualità, però, sarebbe un altro. Per i piccoli comuni occorre fare di più e diversamente. Mettere le poche risorse disponibili a bando è certamente una scelta politicamente più facile, ma significa anche innescare competizioni tra territori diversissimi chiamati a gareggiare, anche molto velocemente, in un “uno contro tutti” senza nessuna visione d’insieme e con il solo obiettivo di provare a vincere quella che somiglia sempre di più ad una specie di lotteria. La logica dei bandi, già vista con molti fondi PNRR e con il pessimo “Bando Borghi” del Ministro Franceschini, sta generando un meccanismo contrario a quello auspicato: più le procedure sono veloci, competitive e concorrenziali, maggiore è il rischio di penalizzare i Comuni più piccoli, più fragili, con più difficoltà (economiche, di personale e dunque progettuali) e, alla fine, di escludere proprio quelli che avrebbero più bisogno di risorse e interventi straordinari.

È evidente che i bandi destinati ai singoli Piccoli Comuni non sono più lo strumento giusto per risolvere alla radice i problemi delle aree marginali del Paese.

AI Piccoli Comuni, al contrario, serve più che mai una Politica (nazionale e regionale) che “veda” i luoghi, che li sappia “leggere”, che possa coglierne criticità e opportunità per poter intervenire a ragion veduta e dove c’è più bisogno. Una Politica, insomma, più interessata ad innescare processi generativi che a fare spesa con interventi quasi mai risolutivi e spesso anche casuali. È necessario, in altre parole, ritrovare spazi di confronto e di lavoro comune, luoghi di programmazione strategica, momenti di coesione e di pianificazione condivisa, magari tra ambiti territoriali più ampi, per fare scelte più efficaci, per superare la logica dei Campanili e, perché no, recuperare lo spirito della Strategia nazionale per le Aree Interne.

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Le regole che servono al turismo

Siamo lontani dai tempi del Grand Tour, quando pochi aristocratici e intellettuali d’Oltralpe intraprendevano lunghi viaggi in Italia, esaltandosi alla vista delle vestigia dell’antichità e godendo di paesaggi incontaminati. Dopo tre secoli i colti viaggiatori solitari sono stati sostituiti da moltitudini crescenti di turisti che visitano il nostro Paese più o meno alla ricerca delle stesse emozioni.

Nel 1990 varcavano la frontiera italiana circa 60 milioni di turisti stranieri, nel 2023 la cifra è più che raddoppiata con circa 135 milioni di turisti in entrata. Dopo la crisi pandemica, il 2023 è stato un anno da record, superando i dati del 2019, con +3,0 milioni di arrivi (+2,3%) e +14,5 milioni di presenze (+3,3%). L’incremento è anche più netto rispetto al 2022 (+ 13,4% di arrivi e + 9,5% di presenze). Il surplus della bilancia dei pagamenti turistica si attesta a 20,1 miliardi di euro, pari all’1% del pil (da 0,9 dell’anno precedente), annullando le perdite causate dal lockdown e confermandosi al di sopra della media dell’area euro.

Diversi fattori hanno contribuito allo sviluppo dei flussi turistici: in primo luogo l’espansione delle compagnie di trasporto aereo low cost e la disponibilità di nuove rotte, lo sviluppo delle tecnologie digitali (attraverso le piattaforme online, come Airbnb, i turisti possono comparare i prezzi, contattare direttamente soggetti fornitori, visionare le opinioni lasciate da altri utenti), l’adozione di politiche meno rigide per la regolamentazione dei visti di ingresso, la semplificazione dei regolamenti sugli alloggi e lo sviluppo della sharing economy.

Tutto bene si direbbe e invece l’aumento dei flussi turistici oltre un certo limite, causa effetti negativi, sia economici che sociali, creando significative distorsioni. L’offerta di servizi turistici ha, infatti, un notevole impatto con le condizioni di vita della popolazione residente: da un lato genera reddito per chi offre i servizi, dall’altro produce sia effetti di cogestione danneggiando l’ambiente fisico fino a compromettere la stessa soddisfazione dei viaggiatori, sia fenomeni speculativi che modificano l’equilibrio sociale.

L’esperienza di grandi mete turistiche, come Barcellona o Venezia, ci mostra che prima o poi, l’overtourism genera una inconciliabile opposizione di interessi tra la parte di popolazione locale che trae reddito dai servizi turistici, e la parte di popolazione che è esclusa dai diretti vantaggi economici subendo gli effetti negativi. Un conflitto che è conseguenza delle politiche liberiste adottate in questo settore da autorità locali e governi nazionali, nella convinzione che i flussi turistici possano rappresentare un motore di sviluppo economico distribuendo benefici a tutta la popolazione residente. E invece ad un’analisi più attenta i danni causati dall’assenza di regolamentazione possono essere superiori ai benefici ottenuti in termini di reddito. In primo luogo, la presenza crescente di turisti genera fenomeni inflazionistici locali, riducendo la disponibilità di risorse per i residenti e diminuendo il loro potere d’acquisto. Aree cittadine precedentemente residenziali sono “turistificate” con l’espulsione dei residenti per far posto ad alloggi per turisti. Il mercato immobiliare risulta drogato con continui rialzi dei prezzi che danno luogo a bolle speculative.

Il tessuto commerciale locale è stravolto per la scomparsa dei negozi di vicinato sostituiti da brand e catene commerciali multinazionali. L’affollamento genera poi effetti negativi in termini di impatto ambientale, di inquinamento e di gestione del ciclo dei rifiuti. Gran parte delle politiche urbanistiche è rivolta ad infrastrutture destinate a sostenere crescenti flussi turistici, ignorando le esigenze della comunità locale. La concentrazione di investimenti nei centri turistici genera degrado e abbandono nelle periferie. Infine certi tipi di turismo favoriscono lo sviluppo delle attività criminali connesse alla prostituzione, al consumo di alcool o di sostanze stupefacenti.

L’elenco potrebbe continuare, ma l’attento lettore avrà sicuramente inteso che la fortuna di una località baciata dall’interesse turistico può essere solo apparente ed effimera se non è rigidamente regolata l’offerta di servizi. Il modello liberista di sviluppo basato sul turismo non è molto diverso dallo sfruttamento di risorse minerarie, per le inevitabili ripercussioni sull’ambiente e sulla vita dei residenti. E come la monoculture estrattiva, il turismo non regolamentato crea diseguaglianze sociali e impoverisce il territorio esaurendo le risorse locali.

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Produttività, l’obiettivo per il Paese

È bastato che l’Ocse pubblicasse i dati sul reddito reale disponibile delle famiglie italiane perché la presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni, la titolare del Lavoro Marina Calderone e ben 21 (ventuno, sic!) parlamentari di Fratelli d’Italia cominciassero a celebrare, per dirla con Giacomo Leopardi, “le magnifiche sorti e progressive” del Paese.

Prendendo in prestito le parole di un altro illustre esponente della letteratura di casa nostra, cioè Alessandro Manzoni, viene da chiedersi: quella di cui si ammanta il governo “fu vera gloria?”. “L’ardua sentenza” va affidata alle future scelte dell’esecutivo in materia di tecnologie, demografia e produttività.

Secondo l’Ocse, nei primi tre mesi del 2024 il reddito reale disponibile degli italiani è cresciuto del 3,4%, cioè più della metà di quanto non sia cresciuto nei Paesi aderenti alla stessa organizzazione (+0,9) o in quelli che fanno parte del G7 (+0,5).

I numeri certificano un significativo recupero del potere d’acquisto delle famiglie, visto che i salari reali aumentano più dell’inflazione.

Perciò la soddisfazione di Meloni non meraviglia. Trionfalismo comprensibile, ma una lettura più attenta dovrebbe suggerire alla premier un profilo più basso, come sostenuto da Antonio Misiani del Pd. Se si allarga l’orizzonte temporale a tutto il periodo di governo del centrodestra, la crescita dei redditi degli italiani è dell’1,8%, dunque inferiore a quella nei Paesi dell’Ocse (+2,8) e di quelli del G7 (+1,9). E, più in generale, il livello del reddito reale è nettamente inferiore ai livelli del 2007. Da quell’anno al 2015, infatti, si sono persi 11,5 punti; dal 2016 al 2020 e dal 2020 al 2024 sono stati recuperati rispettivamente 3,4 e 3,3 punti, ma resta il fatto che al momento il reddito reale degli italiani è più basso di 5,4 punti rispetto al 2007. Ecco perché bisogna analizzare i numeri e individuare una strategia per far sì che i redditi degli italiani, a cominciare da quelli del Sud, aumentino stabilmente e in misura considerevole.

La prima cosa da fare è capire esattamente cosa sia successo. Riccardo Trezzi l’ha spiegato efficacemente sulle pagine de “Il Foglio”: i redditi hanno retto l’urto dell’inflazione prima perché sono aumentati i contratti individuali di lavoro e poi perché i contratti collettivi sono stati rinnovati. Ciò vale a smontare sia la narrazione trionfalistica di Meloni sia le critiche del Pd. Soprattutto, però, le osservazioni di Trezzi ricordano quanto, per far aumentare la ricchezza delle famiglie, sia necessario cambiare la specializzazione produttiva del Paese, adottare tecnologie più efficienti e incrementare la produttività delle aziende. Il che significa riportare questi temi al centro dell’agenda politica di governo. Altrimenti continueremo a contrabbandare la minima ripresa dei salari rispetto all’inflazione come un successo di politica economica.

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Sui femminicidi qualcosa sta cambiando

A meno di un anno dall’approvazione della legge 168 del 2023, che ha introdotto importanti modifiche ai codici penale, di procedura penale, delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione per migliorare l’efficacia delle politiche di contrasto alla violenza sulle donne, è opportuno esaminare gli effetti di queste misure.

Secondo i dati pubblicati dal Dipartimento della pubblica sicurezza-Direzione centrale della polizia criminale, nel periodo compreso tra il primo gennaio e il 30 giugno 2024, sono stati registrati 141 omicidi con 49 vittime donne. Di queste, 25 sono state uccise dal partner o dall’ex partner. Questo dato rappresenta un calo rispetto allo stesso periodo del 2023, quando si registrarono 176 omicidi, con 62 vittime donne.

Il femminicidio, ossia l’omicidio di una donna “in quanto donna”, spesso matura in ambito familiare o all’interno di relazioni sentimentali instabili. Il termine femminicidio è entrato nel lessico comune negli anni ’90 per qualificare questi crimini di genere.

L’Italia ha iniziato a rafforzare la propria legislazione sulla violenza contro le donne con la ratifica della Convenzione di Istanbul, avvenuta con la legge 77 del 2013. Da allora, sono stati fatti diversi interventi per creare una strategia integrata di contrasto alla violenza, in linea con quanto previsto dalla Convenzione.

Uno dei provvedimenti più incisivi è stata la legge 69 del 2019, nota come “codice rosso”, che ha potenziato le tutele processuali per le vittime di reati violenti, in particolare per i crimini di violenza sessuale e domestica. La legge ha introdotto nuovi reati nel codice penale, tra cui la deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti e la costrizione o induzione al matrimonio. Inoltre, sono state inasprite le pene per reati comuni contro le donne, come maltrattamenti, stalking e violenza sessuale.

Secondo un report Istat pubblicato a luglio 2024, le molestie sessuali sul lavoro continuano a rappresentare un grave problema. Nel biennio 2022-2023, il 13,5% delle donne tra i 15 e i 70 anni che lavorano o hanno lavorato ha subito molestie a sfondo sessuale. Le più giovani (15-24 anni) risultano essere le più esposte, con una percentuale del 21,2%. Anche gli uomini non sono immuni: il 2,4% degli uomini tra i 15 e i 70 anni ha dichiarato di aver subito molestie sul lavoro. Le forme di molestie più comuni comprendono sguardi offensivi, insulti, proposte indecenti e, nei casi più gravi, molestie fisiche. Negli ultimi tre anni, il 4,2% delle donne e l’1% degli uomini ha dichiarato di aver subito molestie sul lavoro.

Ma le molestie sessuali si verificano anche al di fuori del contesto lavorativo. Nello stesso periodo, il 6,4% delle donne e il 2,7% degli uomini tra i 14 e i 70 anni sono stati vittime di molestie. Più della metà di queste molestie avviene tramite tecnologia, come email, chat o social media.

Il rischio di subire una molestia sul lavoro aumenta nelle città metropolitane, dove il 17,1% delle donne e il 4,3% degli uomini ne sono vittime. Nei piccoli comuni (da 2.000 a 10.000 abitanti) le percentuali scendono rispettivamente al 10,3% per le donne e al 2,2% per gli uomini. Il Nord-Est risulta essere l’area con il minor rischio con percentuali del 9,7% per le donne e dell’1,7% per gli uomini. Il Nord-Ovest è la ripartizione geografica che presenta i dati peggiori, con il 14,9% delle donne e il 2,5% degli uomini che hanno subito molestie. Il Sud sembra essere un’isola felice visto essendo fra le ripartizioni geografiche a più basso rischio con una percentuale di molestie dichiarate del 14,1% per le donne e del 2,2% per gli uomini.

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Editoriali L'Editoriale

Una pedagogia dei social per evitare nuove forme di totalitarismo

Maneggiare con cura. Tenere lontano dalla portata dei minori. Leggere attentamente le avvertenze prima dell’uso. Possibili effetti indesiderati in taluni soggetti. Così come nei libretti di istruzioni per il montaggio fai da te dei mobili componibili o di altre attrezzature o come nei bugiardini per pomate, sciroppi e pillole varie, anche sulle piattaforme social dovrebbe esserci in bella evidenza una sezione per ricordarci che tutto ciò che pubblichiamo rimane alla mercé di tutti.

Un post non finisce mai nel cestino, nel cassone che teniamo in soffitta e che nessuno può aprire senza il nostro permesso. Il post è sempre lì, sottotraccia, in agguato pronto a ritornare in vita per altri fini e per altre mani per ricordarci tutte le nostre fragilità, debolezze e i nostri istinti più primordiali. Questa volta, l’effetto boomerang l’ha pagato a caro prezzo Carlotta Nonnis Marzano che il sindaco di Bari, Vito Leccese, aveva nominato assessora al Clima e alla Transizione ecologica, in quota Alleanza Verdi Sinistra. Nonnis Marzano non ha fatto neanche in tempo a prendere possesso del suo ufficio a Palazzo di città che ha dovuto rinunciare all’incarico, perché a poche ore dalla sua presentazione si è innescata sui social un’aspra battaglia a base di screenshot, cioè di foto che riprendevano alcuni dei post pubblicati in passato dalla neo-assessora contro diverse personalità politiche o come quello contro il Papa.

È partita quindi con la solita velocità e con toni sempre più duri la carovana della delegittimazione che ha poi indotto il primo cittadino barese a fare retromarcia e trovare la via di uscita diplomatica della rinuncia alle deleghe da parte della stessa Nonnis Marzano.

Ciò che è successo a Bari però è solo l’ultimo dei molti episodi in cui la nostra presenza e la nostra identità digitale, paradossalmente, ci si può ritorcere contro. Nonnis Marzano non è stata la prima e non sarà certo l’ultima. Come non rammentare alla vigilia delle passate elezioni politiche i tweet che costarono la candidatura nel collegio plurinominale della Basilicata alla Camera e l’elezione certa in quanto capolista a Raffaele La Regina, il 29enne segretario regionale del Pd lucano che fu travolto da una serie di post in cui ironizzava sullo Stato d’Israele, mettendone in dubbio l’esistenza come nel caso degli alieni. Successivamente, la valanga virale portò alla luce anche altri commenti anti-Israele.

Molto spesso abbiamo parlato dei danni e dei guasti che le piattaforme social possono causare ai più giovani, alla dipendenza che creano negli adolescenti, cioè nelle giovani generazioni che non hanno tutti gli strumenti e la formazione per poter distinguere, per riuscire a “zavorrare” i sentimenti più viscerali, ma ancora poco si è discusso di quanto anche nelle persone che per età e per competenze dovrebbero poter tenere a freno le reazioni più tribali i social network innescano invece comportamenti davvero pericolosi. Ci vuole una pedagogia dei social che abbia tutti noi come scolari, nessuno escluso. Perché, come ricorda Antonio Palmieri in un suo illuminante volume di qualche anno fa, “Social è Responsabilità”, le piattaforme possono generare un “incremento del fanatismo e una chiusura mentale, spalancando la via ad un nuovo totalitarismo delle idee”. Postare le nostre idee e ricevere dei like può essere anche esaltante per il nostro egotismo, grazie alla scarica di dopamina che ne ricaviamo, ma ciò non deve farci dimenticare che quel pensiero galleggerà per sempre nella infosfera digitale.

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