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Cultura e Spettacoli

Quel dandy suicida di Rigaut e l’amicizia con Man Ray. Al PhEST di Monopoli “Il sogno”

“Il sogno”, il tema della IX edizione del PhEST, a Monopoli. Buon centenario al surrealismo insomma, il cui primo manifesto fu scritto nel 1924 da André Breton. Man Ray, uno dei massimi interpreti della poetica del movimento, il protagonista. Fotografo in grado di stravolgere l’impiego del mezzo: attraverso la sperimentazione senza limiti, ha cambiato per sempre la storia della fotografia. E del cinema.

Ray regista

Si perchè Man Ray è stato anche regista. “Le Retour à la Raison” , “Emak Bakia”, “L’Etoile de mer” e “Les Mystères du château de dé”: le pellicole girate tra il 1923 e il 1929. Quattro cortometraggi altamente sperimentali, “Le Retour à la Raison” il più famoso, nonché quello che, ha a suo tempo sconvolto pubblico e critica per la sua straordinaria forma, in cui veniva stravolta ogni pregressa convenzione riguardante l’infante arte cinematografica. In questa sua opera non c’è sceneggiatura, niente attori e nemmeno una macchina da presa. Girato in una notte, il cortometraggio è stato realizzato tramite la tecnica della rayografia – di cui Ray fu pioniere – che consisteva nel contatto diretto tra oggetti e materiale sensibile. Quello che appare sullo schermo guardando “Le Retour à laRaison”, sono una serie di immagini astratte realizzate mediante il contatto della pellicola con oggetti: spille, chiodi, puntine da disegno. Poi la tecnica dell’illuminazione notturna fa apparire la scritta “Dancer”, creata con il fumo di una sigaretta; e ancora l’immagine del corpo nudo della modella Kiki de Montparnasse, su cui vengono proiettate le ombre dei ricami di una tenda.

Agenzia generale del suicidio

E arriviamo a Jaques Rigaut. Protagonista del suo secondo corto “Emak Bakia”, il dadaista che diventò surrealista, spocchioso, affascinante, l’uomo che viaggiava spedito col suicidio all’occhiello: troppo elegante per sopravvivere. Muore nel ‘29, insieme a les années folles di una Parigi morsa dalle due Guerre. Tutti i suoi amici scrivono, fotografano, girano film: si chiamano André Breton, Paul Éluard, Drieu La Rochelle, Tristan Tzara Dandy. Lui lascia poco e niente, qualche frammento sparso e tanti debiti. A New York sposa una ricca ereditiera americana, Gladys Barber, che lo salva dai creditori, ma non dal mal de vivre. Eppure di vivere vive – e come – di slanci e salti senza rete, nella Francia delle feste continue. Elegante, viso da attore americano e occhi freddi, sembra quasi dire «attenzione, difendetevi dai vostri sorrisi, sto per mentirvi». Il denaro nelle sue tasche non si accumula mai, viene subito speso, una presenza fluida che sa solo scivolargli fra le dita, senza alcuna consistenza. Si maschera da gigolò, una istantanea su tutte: giacca, cravatta, guanti e sigaretta all’angolo della bocca, sul sedile posteriore di una Delage decapottabile. Sedurre gli viene naturale, e Jacques seduce. È ancora bello, giovane, divertente. Da una donna all’altra, da un letto all’altro. Non perde mai la testa, guai a lasciarsi sconvolgere, teme silenziosamente di non piacere mai abbastanza, di non amare abbastanza a lungo. Il sesso nulla può contro la sua nemica: la noia. Sprezzante, un giorno dirà: «Siete tutti dei poeti e io, io faccio il tifo per la morte». Ha solo trent’anni quando dalle parole passerà ai fatti, un colpo di pistola al cuore, nella solitudine di una camera al primo piano di una casa di cura per tossici. In “Addio a Gonzague”, la terribile lettera scritta dopo il suicidio di Rigaut nel 1929, Drieu La Rochelle dice di lui: «Morire è ciò che potevi fare di più bello, di più forte, di più».

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Attualità Bari News

Bari, una galleria d’arte a cielo aperto con “Il mattino ha Lory in bocca” – FOTO

Bari si prepara ad ospitare la terza edizione di “Il mattino ha Lory in bocca”, una mostra d’arte unica nel suo genere che trasforma i balconi del quartiere Madonnella in una galleria a cielo aperto. Dal 28 agosto al 1 settembre, ben 43 artisti invaderanno con le loro opere l’incrocio tra via Dalmazia e via Spalato, regalando alla città cinque giorni di arte, performance ed eventi gratuiti.

Ideata da Francesco Paolo Del Re, la mostra è diventata un appuntamento fisso per gli amanti dell’arte e non solo. Quest’anno, la novità è un ricco calendario di performance che animeranno le serate, trasformando l’evento in una vera e propria festa di quartiere.

Un’iniziativa che va oltre l’arte

“Il mattino ha Lory in bocca” non è solo una mostra, ma un’esperienza che coinvolge attivamente la comunità. Gli abitanti del quartiere aprono le porte delle loro case e mettono a disposizione i loro balconi, creando un’atmosfera di condivisione e partecipazione.

«Questa iniziativa è nata per gioco, ma è diventata molto di più – spiega il curatore Francesco Paolo Del Re -. Abbiamo capito che c’era un bisogno di bellezza e di cultura nel quartiere, e abbiamo voluto rispondere a questa esigenza creando un evento che fosse inclusivo e accessibile a tutti».

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Cultura e Spettacoli Italia

Quel sognatore di André Breton. Cent’anni del Manifesto surrealista

La vita come un gioco a credito. E man mano che l’esistenza la guardiamo in faccia, quel credito inizia a perdersi. Derubricato, si esaurisce; corroso dalla marea, instancabilmente puntuale, del tangibile. A cent’anni dalla prima stesura del “Manifesto del Surrealismo” di André Breton, il quadro “L’incontro degli amici” di Max Ernst può rappresentare un buon punto di partenza per analizzarlo. Nella scena sono dipinti scrittori e artisti del movimento, alcuni comodamente seduti su delle sedie – invisibili – in primo piano, altri in piedi alle loro spalle, e ancora facce fumose sullo sfondo. La parodia confusa di una foto di gruppo, una montagna innevata sotto un cielo nero, il mondo astratto del sogno che ingoia tutto, tutti. Anche chi il quadro lo guarda. Lo spettatore preso dal bavero della giacca e trascinato di peso nell’opera. La magie, direbbero a Parigi. Ed è un po’ quello che fa lo stesso Breton nella sua opera, gioca ad essere un illusionista, cammina all’indietro, dando le spalle alla tecnica e a tutte le sue declinazioni, un ritorno – occhi spalancati – al fantastico, all’onniscenza smisurata di chi sa ancora desiderare. Il Manifesto è una critica feroce alla società del tempo, la condanna senza appello a logica e razionalità che limitano la libertà dell’individuo, soffocandone la creatività, la proposta di un approccio spontaneo al “fuori”, basato sull’esplorazione del subconscio.

Le immagini

Le immagini surrealiste secondo Breton funzionano come quelle dell’oppio: non è l’uomo a evocarle ma gli si offrono spontaneamente, dispotiche. Non c’è possibilità di governarle, né tantomeno congedarle; la volontà propria è inerme, nessuna possibilità di scelta, l’evoluzione incontrollata dell’uomo in vittima e carnefice, insieme.

Il linguaggio

E poi il linguaggio. Il senso di prigionia indotto dal reale, la volontà ferma di rottura liberatoria dai vincoli razionali. «Un’altra costrizione non meno rigorosa e che provavamo il bisogno irresistibile di scuotere è quella che lo spirito critico esercita sul linguaggio e, in maniera generale, sui più variati modi di espressione» scrive Breton. Il surrealista deve vivere sul filo di un delicato equilibrio. Evadere, evitando la trita quotidianità, vincendo il rischio di rimanere ostaggio degli stati allucinatori, del fascino dell’universo profondo trovato in sé stesso, dove l’artista si avventura per dar vita all’opera.

L’oracolo

Tutto in funzione del “l’altrove”, la terra promessa, la profezia con cui si conclude il libro. «Quest’estate le rose sono azzurre; il bosco è vetro. La terra drappeggiata nelle sue fronde mi fa tanto poco effetto come un fantasma. Vivere e cessare di vivere sono soluzioni immaginarie. L’esistenza è altrove».

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Cultura e Spettacoli Puglia

“La musica è un lampo”, il libro di Stefano Senardi: l’uomo amico delle “stelle”

Sfogliare il libro di Stefano Senardi è una passeggiata indietro nel tempo, mani in tasca, fischiettando. Leggerlo, diventa tornare a casa dopo quella camminata, sedersi in veranda, accendere una sigaretta, ed ascoltare le storie di un uomo che la storia della musica non l’ha solo vissuta, l’ha fatta. Un amore inesauribile, una passione convulsa nata da ragazzino e coltivata negli anni ’70: il paese dei balocchi per un appassionato di concerti e 45 giri. E se immaginassimo Stefano come un giovane – smaliziato – Pinocchio che si sfrega le mani davanti alle luci dei palchi, alle ombre dei locali notturni, all’irresistibile sfavillare delle corde di Stratocaster e Les Paul, verrebbe poi da chiedersi chi mai fosse Lucignolo. Nelle 200 pagine, o poco più, di questo scrigno di carta edito da “Fandango Libri”, la risposta. Le risposte. Innumerevoli sono i compagni di notti e nottate, di eccessi consumati in fretta, di quella febbre emotiva che brucia, di chi, con gli occhi che brillano, non sa dire troppo convinto «domani».

L’ossessione inesauribile

“La musica è un lampo” appunto, un colpo di fulmine, un’ossessione. La stessa che spinge Senardi, appena diciottenne, a saltare su una Citroen Dyan due cavalli per un viaggio senza meta. «Vediamo fin dove la macchina regge». Ai genitori racconta di andare con gli amici a Limone Piemonte, in montagna, per il weekend. Si ritrova invece a Londra, e ci rimane un mese. Forse sulla scia vivida del mito americano di Kerouac, un figlio dei beat, prima ancora di rendersene conto. O magari soltanto per pura incoscienza giovanile e ansia di vivere. Fatto sta che inizia in quel momento un girovagare lungo, lunghissimo. Prima spettatore, no, divoratore di concerti. Una bulimia musicale la sua, insaziabile. Poi il salto “dall’altra parte”. «Uno del pubblico passato a organizzare lo spettacolo, a decidere la trama, un fan diventato produttore e compagno di strada di artisti italiani e stranieri di primo livello» scrive Michele Serra, nella bella introduzione che fa da foyer al libro.

Tra le stelle

Una vita da star, con le star. Dall’amicizia con la Pivano che «era una donna dai mille interessi», fino al legame con Franco Battiato «è stato un mistico in cima alle classifiche senza mai distaccarsi dalle cose materiali»; da Elton John «chi l’avrebbe mai detto che avrei lavorato con lui che ancora oggi resta uno dei miei artisti del cuore?» fino a Madonna che «incrementò le vendite dei lettori VHS le settimane prima del suo concerto a Torino del 1987». Facciamo un gioco: pensate al vostro cantante preferito. Fatto? Nel libro di Senardi un aneddoto su di lui/lei lo trovate. Per tutti – ma soprattutto per i più giovani – la lezione del viveur incallito nelle battute finali: il drink. Stefano beve solo Dry Martini come Hemingway e James Bond. «Oggi si può trovare un Dry Martini decente in diversi posti, un tempo non era così. Bisognava andare nei bar degli hotel 5 stelle per averne uno accettabile».

Tra i ricordi

E poi le foto, tante, e i pass dei concerti, tantissimi. Stefano ragazzo con un foulard al collo e la maglietta della Stella Artois, Stefano a Kovalam Beach, Stefano affascinante in giacca di buon taglio con Robbie Robertson, Stefano accanto a una radiosa Joni Mitchell, Stefano con qualche ruga in più, Stefano con il bastone che lo aiuta a camminare, dopo il problema di salute che ha segnato la sua vita nell’ultimo periodo. Una è la costante tra le variabili dell’ottovolante imponderabile che è stata la sua vita: il sorriso di Stefano. Lo stesso in tutte le foto, aperto e sincero, il sorriso di un bambino che non ha mai smesso di giocare con il suo giocattolo preferito, la musica.

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