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Ambiente e Sostenibilità News Puglia

Siccità, strategie e investimenti di Regione Puglia e Aqp per affrontare la crisi idrica

In risposta alla crescente crisi idrica, Acquedotto pugliese (Aqp) e Regione Puglia hanno messo in campo un ambizioso piano di interventi per garantire l’efficienza del servizio idrico su tutto il territorio regionale.

La Regione ha richiesto al Ministero per gli Affari europei un’anticipazione di 307,5 milioni di euro dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione 2021-2027, destinati a finanziare opere strategiche come il potenziamento degli acquedotti, la costruzione di nuove reti idriche e il miglioramento degli impianti di depurazione.

Tra gli interventi più rilevanti, il collegamento degli acquedotti Locone-Ofanto e la costruzione dell’acquedotto di Borgo Tre Santi e Angeloni, a Cerignola, rappresentano solo una parte delle iniziative volte a migliorare la gestione delle risorse idriche.

Nel frattempo, sono stati stanziati oltre 1,3 milioni di euro per la manutenzione dell’invaso Pappadai, un’opera che permetterà di accumulare riserve d’acqua durante l’inverno, utili per affrontare la stagione estiva del 2025.

Nel 2023, Aqp ha investito circa 503,4 milioni di euro in interventi infrastrutturali, tra cui il risanamento delle reti idriche e fognarie in diverse località, come Veglie, Leverano e Copertino.

Inoltre, sono in fase di redazione oltre 200 progetti infrastrutturali per un valore complessivo di 2,6 miliardi di euro, che includono il potenziamento degli impianti di depurazione di Bari Est e San Severo.

La strategia di lungo termine di Aqp si focalizza anche su decarbonizzazione, economia circolare e digitalizzazione, con interventi come l’installazione di impianti fotovoltaici e lo sviluppo della cogenerazione tramite biogas. Modelli previsionali avanzati, sviluppati in collaborazione con istituti universitari, permettono di gestire in modo ottimale le risorse idriche, tenendo conto delle variabili climatiche e demografiche.

Questa strategia integrata, che punta alla sostenibilità e alla prudenza finanziaria, sta permettendo di affrontare la crisi idrica senza gravare eccessivamente sulle tariffe per gli utenti finali, mantenute sotto la media del 2% negli ultimi sei anni.

Grazie alla collaborazione tra Regione, Aqp e Autorità idrica pugliese (Aip), la Puglia si prepara a fronteggiare le sfide future con un approccio lungimirante e sostenibile.

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Editoriali L'Editoriale

Sud, le detrazioni non bastano: servono investimenti pubblici

Nonostante l’ottimismo che caratterizza alcune analisi sul Mezzogiorno, come quella proposta dal Forum Verso Sud organizzato nel maggio corso dal lombardo Studio Ambrosetti, il divario tra Nord e Sud non accenna a ridursi. Secondo gli ultimi dati disponibili, relativi al 2022, il pil pro-capite a prezzi correnti delle regioni del Nord-Ovest è pari a 40.900 euro ed è circa il doppio di quello del Mezzogiorno (21.700 euro). Il pil per abitante di Milano è di 60mila euro, molto distante da quello delle province siciliane, sarde e calabresi che non supera i 17mila euro. Il rapporto tra il pil per abitante del Mezzogiorno e quello del Centro-Nord, che all’inizio degli anni Ottanta si attestava al 60%, alla vigilia della pandemia è precipitato al 55. Un divario regionale di queste proporzioni e di cronica persistenza non è presente in nessun Paese sviluppato, e questa caratteristica definisce l’economia italiana come dualistica: una parte del Paese non riesce ad agganciare i ritmi di sviluppo della parte più avanzata. Per il Mezzogiorno non vale la legge della convergenza, sostenuta da economisti liberisti, secondo la quale le regioni più arretrate dovrebbero crescere più rapidamente di quelle avanzate, avvantaggiandosi di lavoro disponibile e di costo del lavoro più contenuto, fattori che renderebbero più profittevoli gli investimenti. Una legge che ha funzionato per Paesi dell’Est Europa che stanno riducendo il divario con il nucleo più sviluppato.

Paesi come Polonia e Lettonia all’ingresso nell’Unione europea avevano un pil pro capite rispettivamente del 51,2% e 48,3% rispetto alla media europea, dopo appena dieci anni, nel 2016, il dato è migliorato attestandosi al 71,6 e 65,3%. In Calabria è oggi al 55, in Sicilia al 58, in Campania e Puglia al 61. L’applicazione di politiche liberiste che ha condotto all’abolizione dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno e alla fine della cosiddetta economia assistita non ha prodotto, nelle regioni meridionali dell’Italia, gli stessi risultati che hanno ottenuto, con le stesse politiche, altre aree arretrate (si pensi all’Irlanda). L’Italia non ha quindi ancora realizzato la sua unificazione economica e persiste nel cronico paradosso di condizioni di vita radicalmente diverse tra Centro, Nord e Sud. Alcune forze politiche, come la Lega, hanno preso atto di questa divergenza spezzando anche l’unità politica del Paese, attuando con il regionalismo differenziato la riforma costituzionale varata dal centrosinistra nel 2001 per meschini calcoli elettorali.

In questo contesto è illusorio pensare a una nuova stagione di intervento straordinario, con una politica di investimenti pubblici nel Mezzogiorno, l’unico strumento in grado di favorire lo sviluppo quando il libero mercato non riesce a essere un meccanismo virtuoso. E ancora più difficile pensare che questo intervento, seppur vi fosse volontà politica, dovrebbe mobilitare ingenti risorse pubbliche verso Sud. La politica di sviluppo proposta dal governo si affida al tradizionale sistema di incentivi e detrazioni fiscali che possono avere un certo successo in aree del Mezzogiorno che presentano requisiti infrastrutturali e caratteristiche della forza lavoro idonee, ma risulteranno del tutto inefficaci nelle aree più arretrate che possono essere inserite in processi di sviluppo solo da consistenti flussi di investimenti pubblici, non solo limitati alle infrastrutture e alla formazione del capitale umano, ma indirizzati anche al finanziamento diretto delle strutture produttive. Flussi che ovviamente dovrebbero avere consistenza ben più elevata dei fondi attualmente disponibili (Pnrr compreso). Il Mezzogiorno lasciato al libero mercato non potrà evitare processi di spopolamento e l’unica risorsa che potrà sfruttare sarà il suo paesaggio per i flussi turistici. Ma anche nel turismo, che secondo alcuni dovrebbe rappresentare il principale settore di sviluppo del Sud, una seria politica di programmazione.

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Basilicata News Politica Puglia

Zes unica, Fitto: «Il Governo raddoppia lo stanziamento da 1,6 a 3,2 miliardi di euro»

Il Consiglio dei ministri ha approvato l’incremento da 1,6 miliardi di euro a oltre 3,2 miliardi l’entità delle risorse disponibili per il riconoscimento del credito d’imposta per gli investimenti realizzati nella Zes unica del Mezzogiorno dal 1° gennaio 2024 fino al 15 novembre 2024.

A darne notizia è il ministro per gli Affari europei, Sud, Politiche di coesione e Pnrr, Raffaele Fitto, evidenziando che «nei giorni scorsi, abbiamo assistito a polemiche del tutto strumentali» sul credito d’imposta nelle Zes, «che valorizzavano il numero delle proposte di investimento, senza alcuna verifica» sulla possibilità «di tradursi in investimenti concreti».

Fitto spiega che «il Governo dimostra, ancora una volta, il proprio costante impegno per lo sviluppo e la competitività del tessuto economico produttivo delle regioni del Mezzogiorno attraverso iniziative di sostegno che, nel mettere in campo risorse economiche di gran lunga superiori a quelle previste dai precedenti esecutivi, forniscono risposte certe e chiare al sistema delle imprese».

Lo stanziamento approvato, fa sapere il ministro, è di cinque volte superiore a quello previsto negli anni dal 2016 al 2020 (pari a 617 milioni di euro annui) e di tre volte superiore a quello previsto negli anni 2021 e 2022 (pari a 1.053,9 milioni di euro) e nell’anno 2023 (pari a 1.467 milioni di euro, di cui solo 1,3 miliardi di euro effettivamente utilizzati).

Oltre ai 3,2 miliardi di euro immediatamente disponibili, il provvedimento prevede che possano essere utilizzate le risorse dei programmi nazionali e regionali, finanziati con le risorse della politica di coesione europea 2021-2027, relativi alla competitività delle Pmi.

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