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Altamura ne “La fanciulla degli ori”, Marinaro: «I miei romanzi tra cronaca e storia» – L’INTERVISTA

Un intreccio tra mito, leggenda, storia e giallo, percorrendo l’asse Milano Altamura. Il nuovo romanzo di Laura Marinaro “La fanciulla degli ori”, pubblicato con la casa editrice Mursia, questa volta si cala nel profondo della città che ha dato i natali alla scrittrice. Come ci ha abituato con il romanzo precedente “Maremoto a Varigotti”, si tratta di un intreccio tra vero e verosimile, in uno stile scrittorio fluido, attento ai particolari e pieno di sorprese. La protagonista è Caterina Ferrari, un’archeologa. Non a caso la scrittrice ha scelto per questa sua nuova eroina un lavoro un po’ diverso dal personaggio precedente. Non ha direttamente a che fare con il mondo della polizia, ma non ne è neanche completamente estranea, essendo nipote di Alina Ferrari, l’ex colonnello dei Carabinieri. Appena assunta come ricercatrice nel nuovo Museo delle Scienze Antropologiche di Milano, si trasferisce temporaneamente ad Altamura per la vendita di una casa di famiglia nel centro storico. Milano e Altamura incarnano i due amori di Caterina, Marco e Luca, due uomini tanto diversi da confondere la ragazza, un po’ come le due città in cui si muove. Nella cittadina famosa per il pane, Caterina si trova suo malgrado a fare una sensazionale scoperta archeologica, ma anche a dovere «indagare» su due omicidi legati in qualche modo al museo e all’antica maledizione seguita alla scoperta della “Fanciulla degli ori”.

Il secondo libro è ambientato nella sua città. Come mai ha scelto Altamura? Che ruolo ha la città per la trama?

«L’ho scelta perché lo spunto è arrivato proprio da La Fanciulla degli ori, una scoperta archeologica conservata nel Museo archeologico cittadino e dalla sua storia affascinante. La città è uno dei protagonisti, ha un ruolo importantissimo così come Milano, dove vive e lavora Caterina Ferrari la protagonista».

Un’archeologa, contrariamente alla protagonista di “Maremoto a Varigotti”. Cosa l’ha spinta a scegliere questo mestiere?

«Proprio lo spunto della fanciulla e poi lei è un’archeologa ma specializzata in antropologia forense, una delle scienze forensi più affascinanti che ho studiato e che si occupa di scheletri».

Chi è la fanciulla degli ori e come è venuta a conoscenza di questa leggenda?

«Dal Museo. i tratta di uno scheletro del II secolo dopo Cristo, contenuto in una tomba affrescata con un corredo di ori importante e bellissimo. La leggenda è una mia invenzione ma non si discosterebbe da storie di quell’epoca».

Quanto della sua esperienza crime c’è nei suoi romanzi? Come la aiuta a sviluppare le trame?

«L’esperienza c’è. Anche i giornalisti di nera ci sono sempre nei miei romanzi e poi ci sono le conoscenze delle tecniche d’indagine e delle scienze forensi».

Quando scrive un nuovo libro il finale è già presente nella sua idea o lo scopre strada facendo?

«C’è già subito. In genere si fa un canovaccio prima con la descrizione dei personaggi principali poi gli altri vengono man mano a sceglierti. Luoghi cibi e situazioni si sviluppano man mano che si narra. Sono i personaggi che entrano nel processo e mi aiutano a completare l’idea del finale».

Nel testo lei nomina Yara Gambirasio. Un caso del quale ha avuto esperienza in prima persona. Che collegamenti ha tracciato tra il suo personaggio e la ragazza di Brembate?

«Il collegamento è proprio riferito all’antropologia forense e al fatto che Cristina Cattaneo, l’anatomopatogoa più nota d’Italia che lavorò al caso, è la datrice di lavoro di Caterina ed è nel libro».

Da dove parte per costruire i tratti del serial killer?

«La realtà offre numerosi spunti. Le mie idee si sviluppano sempre su fatti veri. Sono i giornali e le cronache che mi ispirano. La vita vera e la Storia, come in questo caso, sono protagoniste. Non amo né il fantasy né la fantascienza o il soprannaturale. Le mie storie sono tutte verosimili, qualcosa che permetta l’immedesimazione del lettore, che si cala interamente nella vicenda e la sente vicina».

Mette mai qualcosa di personale nei sui romanzi?

«Si molto, non solo qualcosa di autobiografico, ma anchecaratteriale. Non sono fatti o situazioni, ma sicuramente lati del carattere, sentimenti di Caterina sono anche miei. Le mie protagoniste mi assomigliano sempre per qualche lato della loro personalità. Forse Alina era meno simile, ma qualche tormento o situazioni erano reali».

Ha già un altro romanzo nel cassetto? Sarà ambientato ancora in Puglia?

«Ho qualche idea. Sto pensando ad un’ambientazione in Brianza ma con qualche incursione in Puglia, magari al mare».

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Cultura e Spettacoli Puglia

“La musica è un lampo”, il libro di Stefano Senardi: l’uomo amico delle “stelle”

Sfogliare il libro di Stefano Senardi è una passeggiata indietro nel tempo, mani in tasca, fischiettando. Leggerlo, diventa tornare a casa dopo quella camminata, sedersi in veranda, accendere una sigaretta, ed ascoltare le storie di un uomo che la storia della musica non l’ha solo vissuta, l’ha fatta. Un amore inesauribile, una passione convulsa nata da ragazzino e coltivata negli anni ’70: il paese dei balocchi per un appassionato di concerti e 45 giri. E se immaginassimo Stefano come un giovane – smaliziato – Pinocchio che si sfrega le mani davanti alle luci dei palchi, alle ombre dei locali notturni, all’irresistibile sfavillare delle corde di Stratocaster e Les Paul, verrebbe poi da chiedersi chi mai fosse Lucignolo. Nelle 200 pagine, o poco più, di questo scrigno di carta edito da “Fandango Libri”, la risposta. Le risposte. Innumerevoli sono i compagni di notti e nottate, di eccessi consumati in fretta, di quella febbre emotiva che brucia, di chi, con gli occhi che brillano, non sa dire troppo convinto «domani».

L’ossessione inesauribile

“La musica è un lampo” appunto, un colpo di fulmine, un’ossessione. La stessa che spinge Senardi, appena diciottenne, a saltare su una Citroen Dyan due cavalli per un viaggio senza meta. «Vediamo fin dove la macchina regge». Ai genitori racconta di andare con gli amici a Limone Piemonte, in montagna, per il weekend. Si ritrova invece a Londra, e ci rimane un mese. Forse sulla scia vivida del mito americano di Kerouac, un figlio dei beat, prima ancora di rendersene conto. O magari soltanto per pura incoscienza giovanile e ansia di vivere. Fatto sta che inizia in quel momento un girovagare lungo, lunghissimo. Prima spettatore, no, divoratore di concerti. Una bulimia musicale la sua, insaziabile. Poi il salto “dall’altra parte”. «Uno del pubblico passato a organizzare lo spettacolo, a decidere la trama, un fan diventato produttore e compagno di strada di artisti italiani e stranieri di primo livello» scrive Michele Serra, nella bella introduzione che fa da foyer al libro.

Tra le stelle

Una vita da star, con le star. Dall’amicizia con la Pivano che «era una donna dai mille interessi», fino al legame con Franco Battiato «è stato un mistico in cima alle classifiche senza mai distaccarsi dalle cose materiali»; da Elton John «chi l’avrebbe mai detto che avrei lavorato con lui che ancora oggi resta uno dei miei artisti del cuore?» fino a Madonna che «incrementò le vendite dei lettori VHS le settimane prima del suo concerto a Torino del 1987». Facciamo un gioco: pensate al vostro cantante preferito. Fatto? Nel libro di Senardi un aneddoto su di lui/lei lo trovate. Per tutti – ma soprattutto per i più giovani – la lezione del viveur incallito nelle battute finali: il drink. Stefano beve solo Dry Martini come Hemingway e James Bond. «Oggi si può trovare un Dry Martini decente in diversi posti, un tempo non era così. Bisognava andare nei bar degli hotel 5 stelle per averne uno accettabile».

Tra i ricordi

E poi le foto, tante, e i pass dei concerti, tantissimi. Stefano ragazzo con un foulard al collo e la maglietta della Stella Artois, Stefano a Kovalam Beach, Stefano affascinante in giacca di buon taglio con Robbie Robertson, Stefano accanto a una radiosa Joni Mitchell, Stefano con qualche ruga in più, Stefano con il bastone che lo aiuta a camminare, dopo il problema di salute che ha segnato la sua vita nell’ultimo periodo. Una è la costante tra le variabili dell’ottovolante imponderabile che è stata la sua vita: il sorriso di Stefano. Lo stesso in tutte le foto, aperto e sincero, il sorriso di un bambino che non ha mai smesso di giocare con il suo giocattolo preferito, la musica.

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