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Parigi 2024, Samele bronzo alle Olimpiadi: «La scherma? Ho iniziato per caso» – L’INTERVISTA

A metà settembre Foggia l’aspetta per una grande festa. Quel bronzo nella Sciabola di Gigi Samele a 37 anni alle Olimpiadi di Parigi era insperato, «…forse per gli altri, ma io ci credevo». Ora però lo attendono le sue meritate vacanze. Le estati di Luigi Samele hanno un solo indirizzo: “Villaggio Calenella” tra San Menaio e Peschici. «Tra gli ulivi e gli affetti della mia famiglia, ho costruito il mio posto preferito, la mia isola felice dove ritrovarmi e rigenerarmi. Sin da bambino, quando ero l’irrefrenabile nipote di nonno Gino e nonna Titina che avevano lì il loro riferimento estivo, Calenella è stata la mia unica passione, un ambiente familiare che sapeva di ulivi garganici e aveva gli amici e le prime avventure da vivere con la consueta vivacità. Perché ero un terremoto, non mi fermavo mai».

Come passava le giornate?

«Con mio fratello Riccardo diciamo che abbiamo fatto “breccia” in vari cuori di passaggio a Calenella: erano lunghe nottate e giornate vissute al massimo, sempre con la voglia di fare scherzi, soprattutto ai malcapitati avventori del villaggio. Le vacanze che comunque non dovevano mai mancare erano però con gli amici del cuore Pasqualino e Luca e la celeberrima “partenza ad occhi chiusi”. Si sceglieva una località e si andava, senza prenotare nulla e casomai cercando un posto di amici dove iniziare a soggiornare. Da lì itinerari e luoghi venivano scelti giorno per giorno.

Insomma come i viaggiatori di una volta.

«Tutto questo indipendentemente dalle risorse finanziare, Italia o estero dovevano essere percorsi senza mete precise, con un’unica prerogativa: trattare dovunque sui prezzi. Alberghi, ristoranti ed attrazioni venivano mercanteggiati con proposte di prezzo e trattative estenuanti fino all’ultimo sconto. Un esempio di foggianità reso anche successivamente celebre da due amici: Pio e Amedeo (che si sono congratulati come sempre anche dopo questo successo ndr). Il ritorno era però sempre a Calenella, perché la voglia di Gargano non è mai mancata».

E la scherma come è arrivata?

«Ho iniziato a fare scherma per caso, ero con mia madre dal barbiere quando il mio primo maestro Vincenzo Acquaviva notò la mia irrequietezza e pregò mia madre di portarmi in palestra per provare a “giocare” con la scherma. Sinceramente non mi importava granché di quello sport ma era un modo per fare casino e correre in uno spazio molto grande, facendo come sempre dispetti a tutti, soprattutto ai ragazzi più grandi. I primi anni e le prime gare sono state assolutamente negative, iniziai con il fioretto ed ero un “pippone” gigantesco. Poi passai alla sciabola e cominciai a farmi notare, anche se il mio pensiero primario era andare in trasferta per fare casino ed “sfondarmi” di sale giochi. Una volta a Rimini, dove si svolgono le finali nazionali under 14, era il momento dei quarti di finale e non mi trovavano più in palestra. Dovevo salire in pedana, ma mi importava talmente poco della gara che ero scappato nella sala giochi sotto il palazzetto. Mi vennero a recuperare i miei genitori e naturalmente persi l’assalto, avendo altri pensieri da supportare».

Quando avvenne la svolta?

«Chi vide qualcosa di speciale in me, ancora adesso devo capire bene come fece, fu l’allora commissario tecnico della nazionale di sciabola Christian Bauer. Mi portò ai mondiali Cadetti a soli 16 anni e vinsi il titolo mondiale, che era anche la mia prima vittoria assoluta in una gara di scherma. Venne poi a parlare con i miei genitori e gli manifestò la sua volontà di portarmi a Roma, alla palestra della nazionale che si trova nel complesso sportivo dell’Acqua Acetosa».

Fu felice di trasferirti nella capitale?

«Non fu facile lasciare Foggia, i compagni di scuola, la mia famiglia, gli amici dell’oratorio di San Michele, dove trascorrevo la gran parte delle mie giornate, tutti quegli affetti che avevo costruito e che mi mancavano al solo pensiero di allontanarmi. Feci questa scelta e finii, dopo il liceo scientifico “Volta”, le scuole dell’obbligo a Roma. Non fu facile ma non avevo alternative».

Dunque partì la maturazione personale?

«Cominciai in quel periodo a capire che lo sport è soprattutto sacrificio, non lasciai Foggia per scelta, era un’occasione che mi era stata creata dagli eventi e sapevo che dovevo sfruttarla. Dopo i primi anni a Roma ed il bronzo alle Olimpiadi di Londra qualcosa si inceppò nel meccanismo strano che regola la vita degli sportivi. Non riuscivo a ritrovarmi, pensai anche di lasciare la scherma. Fu il maestro Andrea Terenzio, foggiano come me, che mi propose di andare da lui a Bologna».

E come andò?

«Inizialmente scettico, accettai la sua proposta e volai in Emilia, dove adesso risiedo e che ritengo la mia seconda casa. Tutto quello che Andrea e la Virtus Scherma ha costruito per me resta la migliore scelta che potessi fare, per la mia vita sportiva e sociale. Poi è arrivato l’amore con Olga Kharlan medagliata a Parigi come me con un bronzo e la scelta di vivere a Bologna come città di residenza. La condivisione di momenti molto difficili, come il dover affrontare il lungo viaggio per riportare parte della sua famiglia con noi dall’Ucraina, ha rafforzato un legame che resta forte nonostante le tante preoccupazioni che ancora oggi subiamo per una guerra assurda e terribile».

E il legame con la tua terra è rimasto?

«Con il trasferimento prima a Roma e poi a Bologna il desidero di riabbracciare la mia terra mi porta a “scappare” in periodi anche non estivi verso il Gargano. Mamma Eleonora e papà Franco ormai vivono a Verona, con i miei fratelli, Francesco e Riccardo. Ritornare a Foggia significa soprattutto vivere l’atmosfera delle feste natalizie con la numerosissima famiglia, 11 cugini, zii e zie difficili da “controllare”, per riabbracciare anche chi ha creduto in me».

E fra quattro anni la rivedremo a Los Angeles?

«Intanto fra un po’, come sempre, tornerò a Calenella per un breve periodo, per poi partire alla volta degli Stati Uniti con Olga per una lunga vacanza californiana. Dopo deciderò cosa fare: a 37 anni gambe, ginocchia e spalla devono dirmi se vorranno ancora supportarmi».

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Potenza Sport

Parigi 2024, Palumbo d’argento con il fioretto a squadre: è la prima medaglia olimpica per la Basilicata

Francesca Palumbo è argento nel fioretto femminile a squadre alle Olimpiadi di Parigi 2024. L’atleta potentina – con Arianna Errigo, Alice Volpi e Martina Favaretto – ha perso la finale contro gli Stati Uniti per 45-39.

Le americane hanno dimostrato di essere in questo momento le migliori al mondo.

Al termine dei nove assalti, davanti alla presidente del consiglio, Giorgia Meloni, in tuta dell’Italia e con tifo costante («È andata bene così…», le sue parole a chi la accompagnava in uscita dal Grand Palais), lacrime amare per Arianna Errigo, Alice Volpi, Martina Favaretto e Francesca Palumbo.

Arrivate nella capitale francese come squadra numero uno del ranking mondiale, le azzurre non sono riuscite a riportare il fioretto italiano sul gradino più alto del podio a cinque cerchi: all’Italia l’oro a squadre manca dal 2012. Ma almeno è stato fatto un passo in alto rispetto al bronzo di Tokyo ed è stata scritta un’altra pagina della storia del fioretto femminile a squadre, consecutivamente sul podio olimpico da Seul 1988.

A proposito della potentina Palumbo, riserva del quartetto ma scelta dal ct Stefano Cerioni al posto di Martina Favaretto per la settima frazione della finalissima contro le americane, comunque una soddisfazione in più: quella di aver regalato alla Basilicata la prima, storica medaglia olimpica. E forse non a caso, sul podio, il suo è stato il sorriso più largo delle italiane. Il quartetto azzurro aveva cominciato bene l’avventura nella prova a squadre. Il 45 a 14 contro l’Egitto, avversario storicamente inferiore, era stato il miglior modo di far dimenticare le amarezze della prova individuale. Molto più complicata la semifinale con il Giappone, vinta 45-39. E poi la finale, con le americane che hanno imposto la loro forza fin dai primi assalti. Errigo, Volpi, Favaretto e Palumbo ci hanno provato in tutte le maniere ma questa volta, a differenza della spada femminile, per l’Italia il Gran Palais è diventato d’oro.

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Foggia Sport

Scherma, l’Italia di Luigi Samele fuori ai quarti di finale contro l’Ungheria a Parigi

La scuola ungherese di scherma batte quella italiana. Almeno nella sciabola e dopo lo scontro di ieri nella competizione a squadre delle Olimpiadi parigine. Il quartetto azzurro, composto dal foggiano Luigi Samele, Luca Curatoli, Michele Gallo e Pietro Torre (riserva), è eliminato nei quarti di finale con il punteggio di 45-38 dai magiari capitanati dal tre volte olimpionico Aron Szilagyi. Ben 7 stoccate di differenza, ma soprattutto una sfida in cui gli azzurri comandano le operazioni sino al 25-23, per poi andare sotto 30-28 e senza più avere le energie per recuperare. Peccato per tutti e per Samele, foggiano medaglia di bronzo cinque giorni fa quando nella finale per il terzo posto ha superato 15-12 l’egiziano Ziad Elsissy. Se fosse stato superato il turno i tre avrebbero gareggiato contro l’Iran, che a sorpresa piega gli Stati Uniti 45-44.

Samele per primo

Samele rompe il ghiaccio della tensione contro Aron Szilagyi che nel primo incontro della rotazione iniziale mette a segno la prima stoccata, poi arriva la parità. Il foggiano tiene botta e anzi passa in vantaggio sul 3-2: si tratta di un illusione, perché in un batter d’occhio si ritrova colpito tre volte e sotto 5-3. A questo punto, spazio alla coppia Luca Curatoli-Csanád Gemesi. Il napoletano chiama subito la revisione dell’azione che porta alla stoccata magiara, riconfermata dal direttore di gara (3-6). Con tenacia Curatoli para, risponde e raggiunge Gemesi sul 9-9, per poi dargli le spalle (10-9). In pedana può ora andare il salernitano Michele Gallo contro Andras Szatmari. Gallo colpisce (11-9), ma si fa riprendere e superare. Situazione ribaltata e tutto da rifare, ma c’è la grinta sufficiente per chiudere in vantaggio 15-13 il primo terzo di gara.

La parte centrale

Si riparte nuovamente con Samele che affronta Gemesi. Altro avversario scomodo che mette in difficoltà l’atleta pugliese. Il vantaggio è perduto (15-15), fortunatamente reagisce e lo ritrova per quanto risicato. Proteste sul possibile 18-16 italiano, perché Gemesi chiede la ricostruzione e ottiene giustizia e dunque nuova parità. L’ultima botta del faccia a faccia è di Samele, che al cambio porta l’Italia sul 20-17. Carte ancora mischiate, perché Gallo affronta Szilagyi e lo doma con affanno. A 25 arriva prima lui e a Curatoli lascia in eredità un patrimonio di due stoccate da incrementare. Al contrario viene dissipato, poiché dominato da Szatmari. L’incontro è in equilibrio sino al 27-26 per il partenopeo, che al cambio si ritrova sotto 30-28. Qui inizia il calvario della squadra di sciabola che non riesce più a tenere testa agli ungheresi.

Ultima rotazione

Tocca a Gallo, che deve affrontare Gemesi. Quest’ultimo appare rinfrancato dalla precedente prova del compagno, tanto da conclude la sua fatica con un +6 (35-29). Il punto di vista cambia, perché quando Samele risale sulla pedana deve recuperare un -6. Ci prova con tutte le sue forze il foggiano, ma è cambiata la psicologia della gara. Ora ci sarebbe da scalare una montagna che potrebbe essere comunque alla portata, perché infilza tre volte Gemesi (33-35). Soltanto un -2, si può fare ma è colpito e si torna al -3, poi -4 e -5. Samele cede e quando conclude le sue fatiche parigine l’Italia è di nuovo a -6 (34-40). Curatoli è contro Szilagyi nell’ultimo assalto: servirebbe una prova prodigiosa, che non arriva, se non l’ultima scoccata che ne decreta la dolorosa sconfitta.

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