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Bari In Primo Piano News Politica

Bari, dopo il caos è stallo nel Movimento 5 stelle: per la Giunta ipotesi Carelli

È stallo nel Movimento cinque stelle barese che ha ormai meno di una settimana per cercare di superare le fratture interne, dopo la decisione dei consiglieri Antonello Delle Fontane e Italo Carelli di uscire dalla maggioranza del sindaco Vito Leccese in protesta contro la scelta dei vertici provinciali di designare assessore Raffaele Diomede (a cui dopo 48 ore di attesa il primo cittadino ha deciso di revocare la delega e procedere per il momento con una Giunta di soli nove assessori). I nodi andranno infatti sciolti entro la prossima riunione dell’assise cittadina che potrebbe essere convocata già il 5 settembre, data in cui toccherà ai consiglieri eleggere finalmente il presidente dell’aula Dalfino e dare avvio a pieno titolo alla macchina amministrativa.

I confronti interni

Negli ultimi giorni si è affacciata sul campo l’ipotesi che l’assessorato mancante possa essere assegnato proprio a Italo Carelli, scelta che per i due rappresentati del Movimento 5 stelle in aula Dalfino potrebbe portate a una ricomposizione del campo largo e al rientro in maggioranza dei pentastellati. Ma le incertezze sono ancora molte e il confronto interno al partito si è trasferito dal capoluogo pugliese a Roma, nelle mani dei vertici nazionali. La partita è molto più ampia e riguarda anche lo scontro interno ulteriore che si sta consumando tra il fondatore del Movimento Beppe Grillo e il leader penstastellato Giuseppe Conte. Visto che un ruolo importante nella vicenda barese è stato sostenuto dai sostenitori di Paola Taverna, vicepresidente vicario nazionale dei pentastellati a cui fa riferimento il coordinatore cittadino e sindaco di Noicattaro, Raimondo Innamorato, il primo a proporre a Leccese di indicare in giunta Raffaele Diomede. Per il coordinatore regionale del Movimento vicino all’ex premier Conte, Leonardo Donno, la soluzione andrebbe invece ricercata internamente. Per questo sanno salendo le quotazioni dello stesso consigliere Italo Carelli.

Gli alleati

In attesa resta invece il Partito democratico, fiducioso per il momento che ci possa essere una ricomposizione del campo largo, anche se la soluzione sembra per il momento essere ancora lontana. Giovedì dovrebbe esserci un incontro tra Gianfranco Todaro e gli eletti dem in aula Dalfino per fare un punto della situazione e capire chi designare capogruppo e come distribuirsi nelle commissioni. Nonostante sembri certa l’elezione a presidente del Consiglio comunale di Romeo Ranieri, rappresentante di “Con”, formazione politica che fa capo al presidente della Regione Michele Emiliano, bisogna capire come si comporteranno in aula gli eletti vicini al deputato Marco Lacarra che potrebbero invece propendere per l’elezione di Marco Bronzini.

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In Primo Piano News Puglia Scuola e Università

Studenti verso la campanella, in Puglia resistono i Licei: lo Scientifico il preferito

Settembre è tempo di scelte per i ragazzi che si iscriveranno alle superiori. I primi dati sull’anno scolastico 2024-2025, che forniscono un quadro generale dell’appeal dei diversi indirizzi di studio, sono stati diffusi direttamente dal ministero dell’Istruzione e del merito, tramite i risultati ricavati dalla piattaforma online unica.istruzione.gov.it. e dove le iscrizioni si sono concluse ufficialmente il 10 febbraio di quest’anno.

I Licei rimangono la scelta predominante tra gli studenti italiani che si preparano a entrare nella scuola Secondaria di II grado, con il 55,63% delle iscrizioni totali. Questo dato però è in lieve calo rispetto agli anni precedenti. Parallelamente, gli Istituti Tecnici e Professionali mostrano una crescita nelle preferenze, con il 31,66% delle iscrizioni per i primi (rispetto al 30,9% dell’anno scorso) e il 12,72% per i secondi (contro il 12,1% dello scorso anno).

La Puglia

Scendendo nel dettaglio delle scelte Regione per Regione, anche in Puglia la maggior parte degli studenti ha deciso di iniziare un percorso liceale: si tratta del 56,23% delle iscrizioni (al di sopra della media nazionale). Tra i diversi indirizzi quello più gettonato è lo Scientifico (16,10%) seguito ad ampia distanza dal Classico (che raccoglie il 6,18% delle scelte), mentre al terzo e al quarto posto troviamo rispettivamente il liceo linguistico (7,27%) e il liceo delle scienze umane (7,12). Un flop generalizzato, in Puglia così come nel resto della Penisola, per il liceo del Made in Italy scelto solo dallo 0,05% degli studenti. Quello che dal governo era stato presentato come un progetto innovativo per creare un percorso di studi in grado di creare professionalità per valorizzare prodotti ed eccellenze italiane non ha riscosso successo. Arrivato quando già le iscrizioni erano aperte, senza un piano di studi certo per tutti gli anni e senza la possibilità di veri open day, non ha convinto. Una novantina gli Istituti, fra i licei delle Scienze Umane e di indirizzo Socio-economico, che si erano detti pronti a creare sezioni, ma con meno di 400 iscritti è praticamente impossibile formare classi, la media nazionale sarebbe di quattro studenti per ciascuna. Leggermente sotto la media nazionale, invece, gli istituti Tecnici e Professionali. Sulla prima tipologia di percorso si sono orientate le scelte del 30,97% degli studenti, con una predilezione per gli indirizzi tecnologici (19,30%) soprattutto informatica e meccanica. Gli istituti professionali, invece, hanno raccolto il 12,80% delle iscrizioni, soprattutto con indirizzo Enogastronomia e Ospitalità Alberghiera (4,47%).

Le altre Regioni

Se in Puglia le iscrizioni al liceo tutto sommato reggono, in altre aree del paese il calo è molto marcato, soprattutto rispetto alla scelta del Liceo classico. In Piemonte, la percentuale è scesa dal 4,1% al 3,83%, in Veneto dal 3,5% al 3,08%, in Lombardia dal 3,7% al 3,39%, e in Friuli Venezia Giulia dal 3,5% al 2,92%. Anche in Emilia Romagna, Umbria e Molise si registrano riduzioni significative. Al contrario, invece, alcune regioni mantengono percentuali relativamente alte di iscritti al Liceo Classico. Nel Lazio, ad esempio, si è passati dall’8,66% al 9,2% dell’anno scorso, mentre la Sicilia, la Calabria e la Basilicata si attestano rispettivamente all’8,50%, 8,53% e 7,42%. Crescite significative si registrano in Abruzzo, dove la percentuale di iscritti è passata dal 4,7% al 6,31%.

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Bari News Puglia

Carabiniere aggredito a Locorotondo, il sindacato: «Un codice rosso anche per noi» – L’INTERVISTA

«L’episodio dell’aggressione di Locorotondo fotografa la grande insicurezza in cui è costretto a lavorare il personale militare e delle forze di polizia in generale». Parte da qui l’analisi di Cataldo Demitri, segretario regionale per la Puglia del Nuovo sindacato Carabinieri.

Qual è la situazione per voi militari e poliziotti?

«Il personale delle forze di polizia non è per nulla tutelato. Le regole di base del nostro ingaggio sono antiquate e non adatte a fronteggiare le molteplici situazioni che ci si presentano tutti i giorni nello svolgimento del nostro lavoro. Il caso di Locorotondo è solo l’ultimo di una serie di episodi quotidiani che vedono protagonisti gli operatori delle forze di polizia. Veniamo continuamente insultati e aggrediti, oltre ad agire in contesti pericolosi e violenti».

Quali sono le regole?

«La linea guida principale a cui ci dobbiamo attenere è di evitare in tutti i modi possibili di arrivare al contatto con il soggetto che viene fermato. Ormai gli agenti hanno paura a intervenire per garantire la sicurezza e prevenire e reprimere i reati, anche perché qualsiasi conseguenza è a carico nostro. Sono situazioni che demotivano il personale. Ogni minimo errore può scatenare una denuncia, un processo penale, provvedimenti disciplinari, blocchi di carriera. A cui vanno aggiunte le spese legali e le conseguenze economiche e psicologiche. L’operatore di polizia può essere sospeso e subisce una serie di svantaggi».

Per garantire la sicurezza degli agenti recentemente è stato introdotto l’utilizzo dei taser. Quali sono le linee guida che dovete seguire per utilizzarlo sul campo? Serve davvero a tutelare agenti e militari?

«Il taser è uno strumento valido perché evita il contatto tra operatore di polizia e soggetto fermato, respingendo la violenza. Ma nasce già come estrema ratio per bloccare qualcuno. Il suo utilizzo, infatti, non è così immediato poiché innanzitutto vanno rispettati tre principi: la proporzionalità rispetto al pericolo, la necessità dell’uso e l’adeguatezza. Oltre a questo, l’utilizzo del taser per l’operatore di polizia si divide in cinque passaggi obbligatori: l’individuazione del pericolo, l’annuncio dell’utilizzo, mostrare l’arma al soggetto, fare un avvertimento con puntamento nei confronti del soggetto e infine l’uso vero e proprio con l’esplosione dei due dardi. Tutti questi passaggi vanno espletati nell’arco di pochi minuti e l’operatore di polizia deve decidere velocemente e in situazioni di pericolo (sia per sé che per la persona sulla quale si sta intervenendo) se ricorrere al taser oppure no. Questo strumento va utilizzato con cautela anche per salvaguardare la vita altrui, non possiamo prevedere in anticipo come il soggetto reagirà alla scarica elettrica. Per quanto riguarda l’Arma dei carabinieri, al momento l’abilitazione all’uso del taser è prevista solo per i nuclei radiomobili e non per i militari dei comandi stazione. Anche se l’amministrazione sta progressivamente agendo per estendere anche a loro l’utilizzo. Ma resta la paura da parte degli operatori a utilizzarlo».

Come mai?

«A luglio del 2024 in Alto Adige due militari hanno usato il dispositivo su un soggetto che si era reso estremamente violento e a seguito di questo dopo due ore è morto in ospedale. Certo è un mezzo che lo Stato ci fornisce ma come conseguenza di questo episodio c’è stata una campagna mediatica a suo sfavore, i colleghi sono stati sottoposti a indagine e a provvedimenti disciplinari. Automaticamente ci ritroviamo sempre in svantaggio. Gli operatori di polizia non possono utilizzare i mezzi perché sono più i rischi a cui vanno incontro che i benefici. Le forze di polizia dovrebbero garantire la sicurezza dei cittadini ma allo stato attuale delle cose non riescono nemmeno a proteggere loro stessi».

Quali potrebbero essere allora le soluzioni per tutelare gli operatori della sicurezza?

«Andrebbe proposto un dispositivo simile al Codice rosso che viene applicato in caso di violenza sulle donne, sia fisica che verbale, certo con tutti gli adeguamenti e gli aggiustamenti del caso. Noi operatori di polizia non possiamo toccare nessuno, e va bene, ma allora nemmeno noi dobbiamo essere toccati perché quando siamo in servizio rappresentiamo lo Stato che deve garantire l’incolumità di tutti. Il mio appello come rappresentate sindacale della regione Puglia è quello di attenzionare tutti questi episodi che si verificano, perché tutti i giorni migliaia di carabinieri vengono aggrediti fisicamente. Fa più scalpore un militare che utilizza il taser e provoca un danno, involontario, che un violento che picchia un agente. E aggiungo un ultimo elemento: queste persone sanno che se si macchiano del reato di oltraggio a pubblico ufficiale non sono esposti a chissà quali conseguenze, non sempre vengono arrestati e se lo sono riconquistano la libertà quasi immediatamente. Tra l’altro perché esista la fattispecie del reato devono esserci per forza più persone. Se l’oltraggio avviene magari in una strada buia e senza testimoni, non possiamo rivalerci legalmente».

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Diritto & Economia

Dispositivi medici e payback, Dentamaro: «L’impatto sulle imprese è pesante» – L’INTERVISTA

Con due sentenze pubblicate il 22 luglio 2024, la Corte Costituzionale è intervenuta sul meccanismo del payback sui dispositivi medici, dichiarandone la legittimità costituzionale. La questione era stata sollevata dal Tar Lazio il 24 novembre 2023, dopo che erano pervenuti circa 2mila ricorsi promossi dalle aziende del settore. A spiegare le conseguenze di tali sentenze è l’avvocato Nicola Dentamaro.

Come possiamo inquadrare la questione dal punto di vista legale?

«Le sentenze sono state due, e una ha avuto conseguenza diretta sull’altra. Per spiegarlo va prima fatta una ricostruzione degli ultimi due anni: il governo ha stanziato un fondo che copriva il 52% degli importi richiesti alle aziende per il payback. A fronte dei due miliardi richiesti l’importo era stato dunque ridotto a un miliardo con decreto legge. Questo prevedeva un termine per accettare il beneficio dello sconto a fronte della rinuncia di tutte le aziende ai ricorsi proposti dinanzi al Tar Lazio. Il decreto è stato impugnato con richiesta di rinvio alla Corte costituzionale, che con la prima delle due sentenze che abbiamo citato, ha statuito che è illegittimo il termine per l’accettazione. Più in dettaglio ha esteso il miliardo di riduzione a tutte le aziende, sia che avessero accettato il beneficio dello sconto sia che avessero proseguito i ricorsi. È stata applicata in maniera piana, a tutti gli importi, una riduzione del 52%. Le due sentenze sono collegate perché la Corte costituzionale, chiamata a valutare la proporzionalità e la ragionevolezza del provvedimento, ha stabilito che, data la riduzione stabilita del 52%, gli importi previsti per il periodo 2015-2018 risultano proporzionali e ragionevoli».

Quali sono le conseguenze?

«Da un lato la Corte ha dato la possibilità a tutte le aziende di aderire alla riduzione del 52%, dall’altro lato ha tolto dicendo che il payback è legittimo perché proporzionale. Forse sarebbe stato meglio che nessuno avesse impugnato quella prima legge. L’esito sarebbe stato diverso in termini di proporzionalità. Ma questa mi sembra più una sentenza politica che giuridica. L’impatto sulle imprese sarà pesantissimo: in questo settore sono quasi tutte piccole e medie realtà con fatturati non troppo alti. Quella che viene richiesta dallo Stato e una liquidità da versare immediatamente. Si tratta di un problema reale, anche perché lo Stato si è assicurato di avere un sistema di recupero coattivo di queste somme: il payback prevede che, laddove le aziende non dovessero pagare, le Asl possono interrompere il saldo delle forniture. Le aziende dunque sarebbero obbligate a continuare a fornire dispositivi a pena di incorrere nell’interruzione di pubblico servizio, che è un reato penale, ma possono non essere pagate fino al raggiungimento dell’importo dovuto».

La sentenza della Corte parla di contributo di solidarietà.

«Non so come si possa parlare di contributo di solidarietà nel momento in cui la sanità viene rifornita da diversi tipi di soggetti, invece sono stati attinti dalla norma soltanto chi fornisce dispositivi medici, la parte più importante della fornitura della sanità pubblica. E chi dovrebbe essere un asse strategico viene invece penalizzato. Al contrario delle aziende del privato accreditato che non vengono toccate da queste sentenze ma che usufruiscono lo stesso delle finanze pubbliche».

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Diritto & Economia

Dispositivi medici e payback, Guida: «Non possiamo essere penalizzati» – L’INTERVISTA

«Le sentenze della Corte gettano le aziende fornitrici di dispositivi medici in una situazione di grande incertezza economico-finanziaria». A lanciare l’allarme sul tema del payback dei dispositivi medici è Grazia Guida, presidente Aforp.

Quali sono le conseguenze del provvedimento sul settore?

«Dopo la sentenza della Corte costituzionale, che parla di “contributo di solidarietà” e di “legittimità”, siamo posti di fronte a una riflessione: se di solidarietà si tratta perché viene richiesta solo ad alcune aziende del settore sanitario? Il contributo di solidarietà in questa veste va ad impattare sul discorso economico-finanziario di ogni azienda, piccola o grande che sia. Non essendo questa una tassa caricata e riconosciuta come costo, le aziende che hanno pagato le tasse per gli anni considerati non avevano riconosciuto il costo e quindi riporteranno un danno aziendale. Molti chiuderanno, altri dovranno ricorrere a debiti finanziari, altri necessariamente rivedere il loro piano strategico, o gli investimenti in tema di innovazione o di assunzioni. Le aziende non possono essere chiamate a coprire da sole uno splafonamento che serve a coprire dei bisogni. Va anche notato che quelle regioni che hanno sforato la spesa, sono le regioni che hanno dato più sanità pubblica. Le regioni come la Lombardia che si appoggiano di più sulla sanità privata, non hanno questa quota da restituire, perché non risulta che abbiano sforato la spesa sanitaria. Mi pare che si tratti di una specie di federalismo camuffato di cui non avevamo contezza».

In Puglia di che numeri parliamo?

«Tra aziende fornitrici dirette e indotto parliamo quasi di 3mila realtà imprenditoriali. Noi abbiamo spedizionieri, vettori terzi verso l’estero e il resto d’Italia, agenti a cui si somma tutto l’indotto. Destabilizzando così i bilanci di queste imprese si va a depotenziare tutto il sistema. Se di contributo di solidarietà dobbiamo parlare, questo può essere mai pari al 48% di uno splafonamento? Un’azienda non può vivere in una condizione di incertezza economico-finanziaria del genere. Nel momento in cui le piccole aziende, che sono la spina dorsale del paese vengono meno, nemmeno i giovani saranno attratti a rimanere sul territorio. Il nostro è un settore altamente qualificato e specialistico, che si apre alle professioni delle bio-ingegnerie, a quelle infermieristiche. Tutto potenziale che andrebbe perso».

Quali sono le vostre richieste?

«Noi chiediamo innanzitutto al governo e al ministero delle Imprese che vi sia un tavolo di crisi nazionale che coinvolga tutti gli attori in campo e che ci venga riconosciuto di essere un asse strategico per il Paese. Bisogna scrivere una nuova pagina di storia».

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Attualità News Puglia

Al Sud le pensioni superano gli stipendi: è Lecce la provincia più “squilibrata”

Nel Mezzogiorno si pagano più pensioni che stipendi. Secondo alcune previsioni, entro il 2028 sono destinati a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età 2,9 milioni di italiani, di cui 2,1 milioni sono attualmente occupati nelle regioni centro-settentrionali. L’argomento è al centro di uno studio diffuso dalla Cgia di Mestre che ha elaborato i dati dell’Inps e dell’Istat aggiornati al 2022.

L’analisi dei dati

Dall’analisi del saldo tra il numero di occupati e le pensioni erogate nel 2022, la provincia più “squilibrata” d’Italia è Lecce: la differenza è pari a -97mila. Seguono Napoli con -92mila, Messina con -87mila, Reggio Calabria con -85mila e Palermo con -74mila. Considerando il totale delle Regioni, invece, emerge che in Puglia vengono erogate 1 milione e 493 mila pensioni a fronte di 1 milione e 267mila occupati, che si traducono in un saldo negativo di 227mila.

Se Lecce ha guadagnato il primato negativo a livello nazionale, non se la passano bene nemmeno le altre province del Tacco d’Italia: la differenza tra pensioni e stipendi è pari a -10mila unità a Brindisi, -18mila a Bari, -37mila a Foggia. Male, come il resto delle regioni meridionali anche la Basilicata. A Potenza vengono erogate 147mila pensioni a fronte di 122mila occupati (-25 mila), mentre a Matera gli occupati sono 67mila a fronte di 68mila pensioni.

Lo scenario futuro

Va segnalato che l’elevato numero di assegni erogati nel Sud e nelle Isole non è ascrivibile alla eccessiva presenza delle pensioni di vecchiaia/anticipate, ma, invece, all’elevata diffusione dei trattamenti sociali o di inabilità. Un risultato preoccupante che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti provocati in questi ultimi decenni da quattro fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, il progressivo invecchiamento della popolazione, un tasso di occupazione molto inferiore alla media europea e la presenza di troppi lavoratori irregolari.

La combinazione di questi fattori ha ridotto progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossato la platea dei percettori di welfare. E nei prossimi anni la situazione è prevista in netto peggioramento in tutto il Paese, anche nelle zone più avanzate economicamente. Tuttavia, già oggi ci sono 11 province settentrionali che al pari della quasi totalità di quelle meridionali registrano un numero di pensioni erogate superiore alle buste paga corrisposte dagli imprenditori ai propri collaboratori.

Sono Sondrio (saldo pari a -1.000), Gorizia (-2mila), Imperia (-4mila), La Spezia (-6mila), Vercelli (-8mila), Rovigo (-9mila), Savona (-12mila), Biella (-13mila), Alessandria (-13mila), Ferrara (-15mila) e Genova (-20mila). Tutte le 4 province della Liguria presentano un risultato anticipato dal segno meno, mentre in Piemonte sono tre su otto. Delle 107 province d’Italia monitorate in questa analisi dell’Ufficio studi della Cgia, solo 47 presentano un saldo positivo: le uniche realtà territoriali del Mezzogiorno che registrano una differenza anticipata dal segno più sono Cagliari (+10mila) e Ragusa (+9mila).

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Attualità Bari News

Bari, stalli e limitazioni per i locali della movida: ecco le idee del sindaco della notte

Prima interlocuzione tra il consigliere comunale Lorenzo Leonetti, con delega a Sindaco della notte e il sindaco Vito Leccese per presentare un primo resoconto dei sopralluoghi serali avvenuti in questi giorni. Tra le prime attività del consigliere Leonetti c’è stata una ricognizione dei luoghi maggiormente interessati dal fenomeno della movida estiva con l’obiettivo di mappare le principali criticità da evidenziare all’amministrazione comunale.

Il resoconto

Il consigliere ha presentato un documento sintetico con il quale si individuano due problemi relativi alla vivibilità dello spazio pubblico: maggiore sicurezza relativa alla viabilità interna alla città vecchia e una migliore organizzazione degli spazi pubblici con riferimento a una delimitazione delle occupazioni di suolo pubblico delle attività economiche così da salvaguardare la fruibilità dei luoghi da parte di cittadini e turisti ed esercitare un maggiore controllo sullo spazio realmente occupato. Nello specifico, il consigliere Leonetti ha presentato al sindaco un progetto di delimitazione delle occupazioni commerciali mediante l’utilizzo di piccoli stalli a pavimento (cosiddette borchie), che dovranno essere posizionate in corrispondenza delle occupazioni definite con l’ausilio della polizia locale in base alla superficie autorizzata.

Le prossime mosse

Nei prossimi giorni con il coinvolgimento degli assessori e delle ripartizioni interessate si procederà a redigere un piano di lavoro. «Sono i primi giorni di lavoro e le segnalazioni sono tante – spiega Leonetti – Insieme al sindaco e agli assessori competenti stileremo un elenco di priorità in modo da dare subito un segnale di attenzione ai residenti ma anche a tutte quelle attività che rispettano le regole. Nei prossimi giorni organizzeremo incontri con le associazioni di categoria».

Gli esercenti

Per il momento quelle avanzate dal sindaco della notte sono delle proposte che andranno valutate dai rappresentanti degli esercenti. «Aspettiamo una convocazione per parlare dei problemi della movida – spiega Vito D’Ingeo di Confcommercio Bari-Bat – Non è certo una soluzione definitiva al problema, semmai un primo passo per trovare accordi come abbiamo fatto in altre città. Gli stalli non bastano ma occorre organizzare al meglio il servizio di bar, locali e ristoranti. Sono pochi quelli che non rispettano le regole, ripartiamo da loro».

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Attualità Bari Cronaca News

Violenze contro i medici, Palmisano: «Si sottovalutano i rischi per gli operatori» – L’INTERVISTA

«La tragedia di Paola Labriola non è servita a prevenire efficacemente questi fenomeni di violenza nei confronti di operatori sanitari e pubblici ufficiali». A sottolinearlo è il sociologo Leonardo Palmisano.

Cosa c’è all’origine di questi fenomeni?

«Sottovalutiamo i rischi che corrono quotidianamente gli operatori che vengono raggiunti dall’utenza, soprattutto in contesti delicati come quelli sanitari. Ma è solo un pezzo dell’analisi. Importante è la considerazione che hanno le famiglie italiane dei servizi pubblici e quello che pretendono da questi ultimi. I medici vengono aggrediti da quelle stesse famiglie che quando un ragazzino ha problemi a scuola, aggrediscono gli insegnanti e i dirigenti. Il clima culturale che è stato alimentato nel paese è quello di pensare che il servizio pubblico debba risolvere immediatamente qualsiasi problema. E quando questo non avviene si sfocia nella violenza, non solo contro le persone ma anche verso le strutture come i pronto soccorso».

Questo cosa testimonia?

«Vuol dire che tu utente innanzitutto non riesci a capire che la medicina è una scienza e che spesso una persona non può essere salvata, nonostante tutti gli sforzi. E poi emerge il tratto dell’egoismo, che è un’aggravante: se si devastano gli arredi di una guardia medica o di un pronto soccorso, il tuo egoismo arriva fino al punto di mettere fuori gioco una struttura che non serve solo a te ma a tutta la collettività».

Ci può essere una soluzione?

«Forse è arrivato il momento di prendere in considerazione l’idea di non permettere più l’accesso dei parenti dei pazienti dove c’è un livello di prossimità strettissimo con l’operatore sanitario, come avviene in altri stati europei. A questo va affiancata una rieducazione delle persone adulte. Per quanto riguarda invece le aggressioni nei confronti delle forze dell’ordine, invece, qui la situazione è ancora più incancrenita. Quante volte noi sottovalutiamo i cori contro polizia e carabinieri nelle curve degli stati? Sono decenni che sentiamo i tifosi inveire contro gli agenti. Sono tutti pezzi che alimentano quel sentimento anti statale, molto radicato in Italia. Sono due fenomeni diversi ma che rivelano una cattiva educazione e l’idea che la violenza possa essere l’unica soluzione ai problemi e ai “torti” ricevuti. Bisogna iniziare a lavorare sulla prevenzione della violenza».

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Manca personale al Policlinico di Bari, nuovo affondo dei sindacati: «Cure a rischio»

Non ci stanno le sigle sindacali del comparto della sanità che lunedì scorso sono state a colloquio con il prefetto di Bari per affrontare la grave carenza di personale, che nelle ultime settimane sta mettendo a dura prova il Policlinico di Bari. Dopo la risposta dell’azienda ospedaliera che aveva chiarito come non ci fosse «nessun rischio per la sicurezza dei pazienti e presto arriveranno i nuovi infermieri e Oss previsti dal piano di assunzioni approvato dalla Regione», le sigle sono tornate all’attacco.

L’emergenza

«Sorprendentemente e diversamente dall’esito dell’incontro con il Prefetto di Bari, il direttore generale del Policlinico, racconta alla stampa la beatitudine degli utenti del Policlinico e del Pediatrico, affermando che va tutto bene e non c’è nessun rischio, sulla sicurezza delle cure per i cittadini. Al netto dei fatti di cronaca quotidiani che la stampa racconta del Policlinico e del Pediatrico, per certa parte, fa bene il Dg del più grande nosocomio pugliese a tranquillizzare gli utenti confidando sulla pazienza e perseveranza del personale sanitario che dell’arte di arrangiarsi alle oggettive difficoltà quotidiane, ne ha fatto una ragione di vita professionale».

Il dossier arrivato sul tavolo del prefetto, ha messo nero su bianco la situazione in cui versa un’elevata percentuale di operatori sanitari (circa il 30% della dotazione organica), in particolare infermieri e operatori socio sanitari, è in uno stato di salute precario con prescizioni lavorative che determinano limitazioni alle loro attività con la conseguenza di oggettive difficoltà per l’azienda (sono in aumento, come riferiscono i sindacati di categoria, le assenze per malattie del personale, dato lo stress psicofisico cui è sottoposto). «Affermare, così come ha affermato il Dg alla stampa, che le cure erogate al Policlinico e al Pediatrico sono sicure e quindi conformi alle “buone pratiche sanitarie” e si effettuano nel rispetto dell’ordinamento scientifico e legale, è una lettura ipocrita della realtà e ne prendiamo le distanze. Le scriventi organizzazioni sindacali, diversamente dal Dg, lavorano all’interno delle corsie ospedaliere, ascoltando i lamenti e le imprecazioni dei cittadini/utenti e di tutti gli operatori stanchi di doversi arrangiare ad un quotidianità insostenibile».

Le misure in campo

Durante l’incontro con il prefetto, la direzione del Policlinico ha illustrato alcuni provvedimenti da attivare per cercare di rimediare alla grave carenza di organico. Tra cui l’attivazione di procedure di reclutamento di personale, la richiesta alla Regione di autorizzare in anticipo il piano di assunzioni previsto per il 2025. Inoltre, come assicurato ai sindacati non dovrebbe essere incrementata nè l’attività operatoria e nemmeno i posti letto all’interno dei reparti.

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Attualità News Puglia

Fondi europei alle imprese: la Regione Puglia al top per finanziamenti ottenuti

Puglia, Piemonte e Campania sono le regioni che hanno raccolto dal 2000 ad oggi più finanziamenti europei destinati alla competitività e allo sviluppo delle piccole e medie imprese. A certificarlo è una ricerca condotta da Vendor, società specializzata in finanza agevolata, efficienza energetica ed operativa per le Pmi. Scendendo più nello specifico, a livello nazionale negli ultimi 25 anni, sono stati finanziati quasi 200mila progetti con fondi pubblici per un totale di 21,46 miliardi di euro di cui 13,96 miliardi derivati dai programmi europei per le politiche di coesione in tema di competitività delle imprese. Il Piemonte è la regione in assoluto più virtuosa per quanto riguarda i finanziamenti europei del fondo Fesr erogati alle pmi dal 2000 ad oggi per un totale di 3,48 miliardi di euro. Seguono poi nell’ordine un folto gruppo di regioni meridionali: Campania (3,18 miliardi di euro), Puglia (2,07 miliardi euro), Sicilia (1,33 miliardi euro), Abruzzo (790 milioni di euro) e Calabria (411 milioni di euro). Per riuscire a rintracciare un’altra regione del Nord Italia bisogna invece risalire fino all’ottavo posto, con la Lombardia dove le piccole e medie imprese hanno portato a casa, nei quasi 25 anni esaminati, oltre 305 milioni di euro. Fanalino di coda è invece la Valle D’Aosta (con 12 milioni di euro) preceduta dal Trentino Alto Adige (28 milioni di euro).

I finanziamenti

Se consideriamo, invece, il totale dei finanziamenti erogati ai beneficiari dai soggetti pubblici nazionali e locali la graduatoria cambia: in vetta c’è la Campania con 4,1 miliardi di euro erogati, seguita da Piemonte (3,83 miliardi) e Abruzzo (3,5 miliardi). Alle spalle, più staccate, troviamo di nuovo la Puglia, insieme a Sicilia e Calabria rispettivamente con 1,94 miliardi di euro, 1,64 miliardi e 806 milioni di euro ottenuti.

Il commento

«I finanziamenti pubblici per la competitività delle imprese – spiega Stefano Ciacciarelli, ceo di Vendor – hanno rappresentato un importante motore di sviluppo per tutte le regioni italiane con alcuni casi di successo come Piemonte, Campania e Puglia che sono riusciti a sfruttarli al meglio. È proprio la capacità di intercettare i finanziamenti resi disponibili dalle Istituzioni con progetti di lungo respiro che rappresenta un elemento strategico in grado di migliorare la competitività. L’auspicio è che con l’aggiunta dei fondi provenienti dal Pnrr e destinati alle imprese, si possa aprire una nuova fase di investimenti».

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