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News Politica Puglia

Regione Puglia, la lettera di Azione ai dg: «Dal 17 giugno i vostri atti sono nulli»

«La invitiamo a non assumere alcun tipo di atto, prendendo immediatamente atto della Sua decadenza ope legis ai sensi della L.R. 7/2022, articolo 3, comma 4, così come modificato dalla L.R. 37/2023, articolo 26, comma 3». Il burocratese, questa volta, è conciso e diretto e serve per mettere in guardia i direttori generali delle aziende sanitarie e degli ospedali pugliesi.

La Lettera

Alla vigilia della settimana ferragostana, la pausa estiva dei direttori generali delle Asl e degli ospedali pugliesi viene “guastata” dalla lettera, arrivata e protocollata, spedita dai consiglieri regionali Fabiano Amati, Sergio Clemente e Ruggero Mennea, planata, con volo diretto, sul tavolo dei direttori generali dell’Asl di Foggia e del Policlinico del capoluogo daunio, quasi a metterli in guardia dalle future conseguenze degli atti che dovessero adottare nei prossimi giorni o settimane.

La questione tecnica

Una lettera breve concisa che non ammette replica, anche perché in questo periodo non è facile trovare chi possa rispondere, che parla un burocratese diretto e senza fronzoli, citando norme e articoli di legge a supporto della tesi dei tre consiglieri regionali: non firmate atti che potrebbero essere nulli.

«L’articolo 3, comma 4, della L.R. n. 7 del 2022, modificato dal comma 3, articolo 26 della L.R. 37/2023 prevede che “l’inadempienza dell’Azienda sanitaria e ospedaliera al mantenimento degli obiettivi di contenimento assegnati dalla Giunta regionale sulla spesa farmaceutica e dei gas medicali, comporta la decadenza per dettato di legge del Direttore generale».

Ma non è tutto. Amati, Clemente e Mennea precisano ancora: «con delibera n. 848 del 17 giugno 2024 la Giunta regionale ha certificato che per l’anno 2023 la spesa farmaceutica complessiva per acquisti diretti dell’Asl Foggia (lo stesso per il Policlinico, ndr) è risultata superiore rispetto al tetto stabilito a livello regionale con Dgr n.513/2023, così come indicato nell’allegato A alla suddetta delibera e che è parte integrante di essa».

Pertanto concludono i tre consiglieri regionali «Tanto premesso, nel rispetto delle norme su richiamate e al fine di evitare l’annullabilità di tutti gli atti da Lei compiuti dopo il 17 giugno 2024».

La lettera è stata spedita il 6 agosto scorso, ma non resa pubblica dai tre consiglieri regionali e neppure diffusa con note stampa o interventi pubblici. Un modo per evitare di accendere polemiche politiche e guastare le vacanze di qualcuno.

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Lecce News Politica

Il sindaco Mellone festeggia i 40 anni e invita i cittadini in piazza: è polemica a Nardò

Pippi Mellone organizza una grande “festa di popolo” in piazza, ma questa volta non per un comizio, né per il cartellone estivo. L’invito pubblico del sindaco di Nardò, infatti, è per festeggiare il suo quarantesimo compleanno in compagnia, un vero e proprio evento che si terrà domani sera, 12 agosto a partire dalle 20.30 in piazza delle Erbe con tanto di concerto, cibo, bevande e torta finale, e soprattutto con un probabile bagno di folla di amici, cittadini e simpatizzanti. Ad allietare la serata sarà la band “Gli avvocati divorzisti”. Un evento che ha subito suscitato la reazione, polemica dell’associazione Nardò Bene Comune.

L’invito

È stato lui stesso a pubblicare un invito aperto a tutti nelle sue storie di Instagram, uno dei canali di comunicazione preferiti dal primo cittadino per relazionarsi con i suoi followers. “Il tempo passa per tutti – scrive Mellone – e tra poco compio 40 anni. Voglio festeggiare con voi, questa volta il regalo lo faccio io a tutti voi! Siete invitati ad un concerto per la città”.

L’opposizione

L’idea non è piaciuta agli oppositori politici di Mellone. «Il sindaco della città reclama una piazza per sé con una “Festa di popolo” per i suoi quarant’anni – commenta l’associazione Nardò Bene Comune – Ancora una volta Mellone mostra come la sua idea di città sia di un regno a lui asservito dove lui è “più uguale degli altri.” A qualunque altro cittadino sarebbe concesso di riservarsi una piazza per festeggiare il proprio compleanno? Di gravare sulle forze dell’ordine che saranno costrette a monitorare l’assembramento?»

I cittadini

In tanti però hanno gradito. «Considerando che si tratta di un personaggio pubblico -è il commento di uno dei cittadini che ha apprezzato l’invito – con le opportune richieste e le opportune autorizzazioni, non ci vedo nulla di male che festeggi pubblicamente offrendo di tasca propria, per il traguardo dei 40 anni, di cui otto, nel bene o nel male, al servizio della nostra amata città».

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Bari News Politica

Bandiera palestinese a Palazzo di Città, Leccese: «Testimonia l’anelito alla pace dei baresi»

«Quella bandiera testimonia l’anelito alla pace della comunità barese e il sentimento di solidarietà alla città gemellata di Beit Jala in Palestina». Lo afferma il sindaco di Bari, Vito Leccese, rispondendo alle polemiche seguite alla decisione di esporre la bandiera palestinese sul balcone del suo ufficio a Palazzo di Città.

In una nota il sindaco di Bari spiega di aver detto al console onorario dello Stato di Israele a Bari, Luigi De Santis, che «sarò felice di esporre anche la bandiera israeliana quando lui si unirà all’appello del cessate il fuoco e quando il governo del Paese che lui rappresenta cesserà le operazioni militari nella striscia di Gaza».

La richiesta di esporre anche la bandiera israeliana era arrivata al sindaco Leccese anche dall’eurodeputato Michele Picaro che il primo cittadino ringrazia «per l’attenzione e la cortese sollecitazione che ha voluto riservare alla mia iniziativa di solidarietà con il popolo palestinese, in questi mesi tragicamente provato da azioni di guerra che hanno provocato oltre 40mila morti civili, tra cui tantissimi bambini».

«Chiedere l’immediato cessate il fuoco»

Leccese ricorda che «all’indomani della ignobile e omicida azione terroristica perpetrata da Hamas nei territori occupati ho fermamente condannato quanto accaduto. Ho sempre pensato che l’unico modo per riportare la pace in quel territorio martoriato sia quello di far tacere le armi da parte di tutti. Poiché sono più che convinto dell’universalità del valore della pace, ritengo che tale valore non vada mai strumentalizzato per finalità politiche, soprattutto da chi ha responsabilità istituzionali».

E proprio alla responsabilità Picaro richiamava Leccese. Un richiamo che, spiega il sindaco, «evoca il concetto importantissimo che è quello della “convivenza pacifica e la comprensione reciproca” tra i popoli. Questo concetto è alla base della soluzione “due popoli due Stati” di cui sono strenuo sostenitore anche perché ritengo che sia l’unica possibile, come auspicato anche nelle risoluzioni Onu».

Leccese fa anche riferimento all’ennesimo attacco israeliano che ha provocato oltre 100 vittime tra i civili: «È necessario chiedere l’immediato “cessate il fuoco”, per salvare il popolo palestinese e per evitare che la polveriera in Medio Oriente esploda con esiti da guerra mondiale».

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Bari News Politica

Ordinanza anti-degrado a Bari, Laforgia: «Incomprensibile, discrimina i fragili»

Michele Laforgia torna sulla questione dell’ordinanza anti-degrado emanata nei giorni scorsi dal sindaco di Bari, Vito Leccese, e che già nei giorni scorsi aveva criticato.

Un’ordinanza, afferma in una nota siglata anche dall’associazione “La Giusta causa” e dall’ex assessora al Welfare del Comune di Bari Francesca Bottalico, che resta «incomprensibile», che tradirebbe il principio di condivisione e che «non risponde a una improvvisa emergenza» ma che pone «rimedio a condizioni di degrado risalenti nel tempo».

L’ordinanza resterà in vigore fino al prossimo 30 settembre. Il provvedimento prevede il divieto, dalle 20 alle 7, di vendere e somministrare per l’asporto bevande in bottiglie o contenitori di vetro nelle aree del centro cittadino, e vieta la “realizzazione di giacigli di fortuna e l’accatastamento di beni” quali “coperte, cartoni e carrelli per il trasporto”. Sono previste anche sanzioni.

«Non occorre particolare preveggenza per immaginare l’inefficacia di siffatti divieti e, nella migliore delle ipotesi, il semplice spostamento di giacigli di fortuna, masserizie e persone a pochi isolati di distanza, magari in zone ancora più degradate: così discriminando ancora una volta i gruppi socialmente ed economicamente più fragili», evidenzia “La Giusta causa” che si chiede come mai, come primo atto il sindaco «abbia inteso esordire nel suo mandato non già con un intervento dedicato alle analoghe e non meno pressanti emergenze presenti nelle declamate periferie, bensì alla zona più centrale della città».

La Giusta causa, Laforgia e Bottalico, scrivono nella nota, dubitano «dell’opportunità di iniziare ancora una volta dal centro e non dalle zone più trascurate e dai cittadini dei quartieri che da anni lamentano di essere stati dimenticati».

Sotto accusa c’è anche il metodo seguito per l’adozione del provvedimento. «Abbiamo appreso dell’ordinanza dal comunicato stampa del Comune», si sottolinea nella nota senza che ci sia stata «alcuna condivisione, neppure informativa, con le altre componenti della coalizione».

L’associazione rivendica «il diritto e il dovere di esprimere le nostre opinioni sul governo della città indipendentemente dalle maggioranze e dalle contingenze politiche. Si chiama cittadinanza attiva, ed è il cuore della partecipazione democratica».

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Italia

Caso Toti, Barbano: «I pm prendono sempre in ostaggio l’intera politica»

«Ci sono, nella disavventura giudiziaria e politica di Giovanni Toti, tre indizi che raccontano uno snodo cruciale del trentennale conflitto tra magistratura e politica nel nostro Paese, e che mutano in maniera definitiva il controllo di legalità esercitato dall’azione penale in un controllo di merito orientato alle prescrizioni e agli obiettivi di una ideologia morale». È quanto afferma Alessandro Barbano in un editoriale pubblicato sul quotidiano “Il dubbio“.

«Si tratta – scrive il giornalista – di un passaggio sottaciuto, o quantomeno sottovalutato nel dibattito pubblico, ma che è destinato a produrre nel cosiddetto diritto vivente effetti difficilmente sormontabili, capaci di vanificare l’esito delle riforme pure in fieri della custodia cautelare e di accentuare la subalternità del potere politico a quello giudiziario».

Barbano elenca dunque gli indizi: il primo, afferma, «riguarda l’idea che possa darsi corruzione attraverso atti leciti e finanziamenti regolarmente dichiarati dalla politica». Che, spiega, «la coesistenza di un vantaggio prodotto da un atto amministrativo a un imprenditore, e il finanziamento dell’imprenditore al politico che l’atto ha emanato o intermediato, rappresenti da sola l’elemento oggettivo del reato. La cui natura di scambio tra prestazioni corrispettive viene dedotta dalla relazione umana tra imprenditore e politico, certificata dalle intercettazioni. Questa relazione – prosegue – è considerata insieme essenza del reato, e prova. Che, in una costruzione narrativa del sospetto, piega alla colpevolezza perfino alcune precauzioni di tipo difensivo, come il nascondimento degli smartphone durante gli incontri, messe in atto da una classe dirigente che diffida, temendone non senza fondato motivo, dell’azione della magistratura».

E questo, sottolinea Barbano, è uno «schema interpretativo accusatorio» che «non solo spezza qualunque tassatività dei reati e delle regole processuali, dilatandone i confini su un terreno tipicamente morale, ma instaura un processo alla politica da parte della magistratura, che si sostituisce a quello proprio della democrazia. La mediazione e la risoluzione dei conflitti di interesse diventa così la missione di una giustizia che fa discendere effetti penali da conclusioni morali».

Tra le accuse all’ex governatore ligure c’è la corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio. In questa ipotesi, dice Barbano, «la tendenza a connotare i fatti della politica con tinte di immoralità trasforma i rapporti economici tra sfera privata e sfera pubblica in spie di mercimoni corruttivi. Nella seconda ipotesi di reato – continua -, e cioè la corruzione per l’esercizio della funzione, il fatto stesso evapora nella mera esistenza di una relazione tra l’imprenditore e il politico, facendone allo stesso tempo elemento oggettivo e soggettivo del reato. Il politico “prezzolato”, censurabile perché ritenuto dedito a scambi affaristici della propria funzione, diventa una nuova fattispecie. Di cui le intercettazioni forniscono un sintomo assunto come prova. L’impatto di un simile approccio sul piano delle relazioni civili di una società non è solo l’evanescenza della politica, ma anche il collasso dell’economia. Perché un’impresa dovrà finanziare la politica, se non nella speranza che l’azione di questa, ferma la legittimità degli atti amministrativi, finisca per favorire i suoi interessi? E quale impresa avrà più interesse a finanziare la politica, se dall’attività di questa non potrà ricavare nessun vantaggio senza commettere un reato? Ma la sterilizzazione dei rapporti tra politica e impresa conduce inevitabilmente alla paralisi economica».

Il secondo indizio della “disavventura” giudiziaria di Toti per Barbano «racconta tutto lo sforzo creativo della magistratura per dare valore cogente a questo paradigma penale/morale, ben oltre il testo della legge. Quando il Riesame di Genova, aderendo in toto alla tesi del pm, motiva la mancata scarcerazione di Toti con la sua incapacità di ammettere il reato, assume l’autocensura morale della propria condotta come l’unica condizione per ritenere insussistente il rischio che il reato si ripeta. Senza ammissione e pentimento, Giovanni Toti conserva intatta la sua tendenza a delinquere. Vuol dire che la sostanza delle norme che disciplinano la custodia cautelare è già divenuta essenzialmente morale, quantomeno nell’interpretazione applicativa che la magistratura ne dà, facendo strame di qualunque presunzione di non colpevolezza. Come se non bastasse, la potenziale pericolosità dell’indagato è desunta da una presunzione oggettiva connessa al mantenimento della carica».

Barbano arriva dunque al terzo e ultimo indizio: «La persistenza dello status di governatore è condizione ostativa per escludere il rischio di reiterazione del reato. Se Toti non si dimette, la corruzione potrebbe ripetersi. Vuol dire – spiega il giornalista – che nell’esercizio stesso della politica c’è una potenzialità criminogena di cui tenere conto nel processo. Ciò serve a legittimare il ruolo di tutela che la magistratura si è autoassegnata, e che senza alcun imbarazzo può essere impiegato come motivazione per giustificare i suoi provvedimenti cautelari. Che riassumono tutte le finalità attribuite un tempo alla pena: la retribuzione, come giusta misura per la colpa morale commessa, la deterrenza che l’esempio proietta nella politica, e la rieducazione che rimette nel circuito civile soggetti ormai consapevoli del disvalore delle proprie condotte. Il giudicato, è il caso di dirlo, è ormai una storia che proprio non riguarda più nessuno», conclude Barbano.

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Bari News Politica

Bari, ultima riunione per la giunta-ponte: conto alla rovescia per l’esecutivo Leccese

Ultimo giorno di scuola ieri per la giunta ponte di Vito Leccese, l’esecutivo dell’ex amministrazione Decaro prorogato nelle funzioni in attesa della proclamazione degli eletti da parte del Tribunale prevista il 12 agosto. E così ieri gli assessori uscenti, fra cui Petruzzelli, Romano, Palone, si sono riuniti per l’ultima seduta di giunta in attesa che il sindaco Leccese completi le consultazioni e nomini la nuova squadra degli assessori. Un’operazione tutt’altro che semplice visti gli ostacoli che sono spuntati nelle scorse settimane. Il primo cittadino, infatti, s’è trovato nella scomoda posizione di dover accontentare i desiderata della sua coalizione e accettare anche le pretese della convenzione per Bari che fa capo all’avvocato Michele Laforgia.

Il nodo

E proprio quest’ultimo rappresenta probabilmente lo scoglio più insidioso da superare nella formazione della giunta. Leccese ha offerto a Laforgia due postazioni di governo, un assessorato e la presidenza del Consiglio comunale che nei piani dovrebbe essere proprio appannaggio del penalista. In base ai piani l’assessorato dovrebbe andare ai Cinque stelle, uno degli alleati della coalizione Laforgia, che hanno nel frattempo incassato un consigliere in più dal riconteggio dei voti. Così facendo Laforgia, dovendo fare un passo indietro rispetto alla consistenza del M5S, resterebbe all’asciutto con la sola presidenza del consiglio senza la possibilità di sistemare uno dei suoi eletti. Un vulnus che l’avvocato non ha mandato giù tanto da attaccare a muso duro nei giorni scorsi, e anche ieri con post su facebook, l’ordinanza anti-bivacchi a firma del sindaco Leccese che contempla anche il controllo sulla presenza dei clochard. Uno strappo che ha parecchio indispettito Leccese non disponibile ad ulteriori concessioni verso un alleato che «non si sta rivelando leale nei comportamenti».

Le ipotesi

E così in attesa di schiarite, al momento poco probabili, resiste lo schema Leccese illustrato ai partiti nelle consultazioni delle scorse settimane. La nuova giunta dovrebbe assegnare quattro assessori al Pd, due alla lista Decaro, uno a Con e un altro alla civica del primo cittadino più un esterno (probabilmente Ines Pierucci di Avs) oltre all’assessorato ai Cinque Stelle e la presidenza del Consiglio a Laforgia. Il braccio di ferro con quest’ultimo è destinato a tenere banco nel weekend e anche nei prossimi giorni prima delle nomine. Intanto a proposito di nomi il toto assessori vede salire le quotazioni di diversi uscenti, come Petruzzelli, in odore di riconferma e le colleghe Paola Romano e Carla Palone.

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Lecce News Politica

Sede Rai di Lecce, Poli Bortone offre i locali: «Il Comune li mette a disposizione gratis»

Una soluzione per la sede Rai di Lecce arriva dalla sindaca Adriana Poli Bortone. «Avere una copertura adeguata del servizio di informazione pubblica è una molto importante. Come Comune siamo pronti a fornire una sede gratuita alla Rai». Le ore sono calde, c’è aria d’agosto, di spiaggia e ombrelloni. Eppure il tema della sede Rai di Lecce, a Palazzo dei Celestini, resta bollente. Una sede sottoutilizzata, pagata 48mila euro – di soldi pubblici – negli ultimi 6 anni; un solo corrispondente in servizio che la utilizza saltuariamente, a singhiozzo. Sono i fuochi prima della pausa estiva.

La sindaca prende posizione

E mentre dalla Rai tutto tace – nessuna presa di posizione, nessun comunicato – la politica non va al mare, e risponde. Interpellata sull’argomento, la Poli Bortone ha preso una posizione netta, su un argomento che tocca da vicino non solo i milioni di cittadini salentini, ma tutti i contribuenti del Paese.

«Stiamo insistendo perché la sede Rai di Lecce abbia una sua dignità e una copertura adeguata. Lecce, Brindisi e Taranto hanno delle caratteristiche territoriali differenti da Bari e dal nord barese. È un peccato ed una grande mancanza non valorizzare una terra che da qualche anno è attenzionata dal turismo internazionale. Sarebbe bene che la Rai facesse uno sforzo maggiore». E sulla spesa dei soldi pubblici mal utilizzati, chiude: «Far finta di avere una sede, addossando la responsabilità dell’immagine di un territorio così vasto ad un solo dipendente, mi sembra una cosa inutile. Vogliamo invece una sede regolare e funzionante, paghiamo le tasse e il canone come in tutta Italia, abbiamo quindi diritto agli stessi servizi che riservano a tutti gli altri territori del Paese. Mi impegno ad attivarmi nei prossimi giorni, ascoltando tutti i nostri parlamentari, per sapere quali iniziative hanno assunto e se c’è la possibilità di adottare una linea comune sul tema».

Il parlamentare

Sull’argomento è tornato a parlare anche il deputato salentino, vice presidente della Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera, onorevole Andrea Caroppo. «La sede Rai di Lecce deve essere potenziata per garantire al Salento e ai suoi cittadini una informazione completa e approfondita. Per il territorio salentino è stata prevista la presenza di un solo corrispondente Rai in sei anni, nonostante la disponibilità di una sede ampia, sita in un palazzo prestigioso nel cuore del Capoluogo. È questa la notizia che dovrebbe far scalpore. La spesa di 8mila euro annui di soldi pubblici per l’affitto degli uffici Rai non è uno spreco in sé, ma lo diventa nella misura in cui questi spazi rimangono vuoti, senza un numero di giornalisti adeguato a garantire il servizio pubblico. Per questo motivo, in queste ore scriverò formalmente ad Alessandro Casarin, Direttore della Tgr, e a Giancarlo Fiume, Caporedattore della tgr Puglia».

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Attualità News Puglia

Puglia, la Regione sostiene il settore vitivinicolo: ok alla riduzione delle rese di uva per ettaro

Stabilizzare il mercato attraverso un riequilibrio tra domanda e offerta è l’obiettivo di una delibera della Giunta regionale pugliese a sostegno del settore vitivinicolo per far fronte alle criticità strutturali legate soprattutto all’ingente quantitativo di giacenze di prodotto di altissima qualità in cantina.

«Si tratta di un provvedimento che consente alle aziende vitivinicole di ridurre le rese di uva per ettaro per la tipologia “rossi” dei vini a indicazione geografica tipica (Igt) “Puglia”, “Salento”, “Tarantino”, “Valle d’Itria”, “Daunia” e “Murgia” già a partire dalla prima campagna utile», spiega l’assessore regionale all’Agricoltura, Donato Pentassuglia. «Serve – prosegue – un’azione maggiormente incisiva per la quale stiamo lavorando da tempo, insieme a tutta la filiera, e che riguarda la modifica definitiva dei disciplinari Igp in tema di rese di produzioni».

Pentassuglia annuncia che «sono in corso le interlocuzioni con il Ministero e la formalizzazione dell’iter di modifica non si è ancora concluso» ma nel frattempo, con la delibera regionale, «proviamo a supportare i nostri produttori a superare in parte il disequilibrio tra produzione e vendita, causa dell’indebolimento del posizionamento delle nostre eccellenze enoiche sui mercati nazionali ed esteri».

Per i vini Igt “Puglia”, “Salento”, “Tarantino”, “Valle d’Itria”, “Daunia” e “Murgia”, dunque, sono consentite le produzioni massime di uva per ettaro di vigneto in coltura specializzata, nell’ambito aziendale, nella misura di 14 tonnellate per il vitigno Primitivo; 15 tonnellate per il vitigno Susumaniello; 15 tonnellate per Negramaro e Malvasia Nera; 15 tonnellate per il vitigno Aleatico.

Il provvedimento adottato, infine, dà incarico alle associazioni dei viticoltori delle Igp costituite di provvedere al monitoraggio delle produzioni e di darne informazione alla competente struttura regionale.

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News Politica Taranto

Giochi del Mediterraneo, la soddisfazione di Ferrarese: «Grande impegno del Governo»

«Era un passaggio decisivo per il raggiungimento di un progetto che fino a un anno fa sembrava naufragato». Così Massimo Ferrarese, commissario straordinario di Governo e presidente del Comitato organizzatore dei Giochi del Mediterraneo in programma a Taranto nel 2026, commenta l’approvazione da parte del Governo, d’intesa con la Regione Puglia, del secondo stralcio del programma per la realizzazione delle infrastrutture necessarie allo svolgimento della manifestazione.

Si tratta di 107 milioni di euro, oltre ai 168 già stanziati con il precedente decreto, che porta a 275 milioni il totale dei fondi a disposizione.

«L’impegno del ministro Raffaele Fitto, il quale con tutte le energie, ma anche con grande coinvolgimento personale, trattandosi della sua terra, ha voluto che tutto ciò si realizzasse, insieme a quello dei ministri Abodi e Giorgetti – continua Ferrarese – è stato determinante per rendere realizzabile l’impegnativo lavoro svolto in questi ultimi mesi».

Il commissario per i Giochi ringrazia «il Governo per la determinazione con cui ha voluto sostenere tutti i nostri progetti, offrendo ora la possibilità di entrare definitivamente nella fase di realizzazione delle opere. L’ho più volte sottolineato in passato – conclude Ferrarese – ma in questo momento considero ancora più determinante la massima collaborazione tra tutti gli enti coinvolti per un traguardo che ora possiamo raggiungere, la grande occasione di rilancio per Taranto e la Puglia».

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Editoriali L'Editoriale

L’esegesi del pensiero meloniano

Per il primo numero di agosto sulla copertina di Chi, il “settimanale people più letto d’Italia che racconta le storie dei personaggi più amati e seguiti dal pubblico” – come si legge dalla scheda editoriale pubblicata sul sito della Mondadori – ci sono Chiara Ferragni e il suo manager Silvio Campara e il loro presunto flirt, poi Francesco Totti e Noemi Bocchi impegnati a lavare le tapparelle di casa, il principe Harry e la consorte Meghan Markle, ma soprattutto c’è lei, Giorgia Meloni.

La presidente del Consiglio risponde alle domande di Giulia Cerasoli e fa “un bilancio in totale trasparenza e con lo stile diretto che la caratterizza” dei suoi due anni a Palazzo Chigi. Una intervista molto lunga, ben sette pagine, corredata da dodici fotografie che raccontano sia alcuni dei momenti pubblici che privati vissuti dalla premier.

Adesso, la maggior parte degli analisti e degli osservatori politici si è catapultata nello studio filologico, matto e disperatissimo, delle risposte dettate dalla Meloni, così come nell’estrazione dei possibili non detto o delle velate allusioni che di certo qualche bravo opinionista politica riuscirà a scovare e a evidenziare.

Però, questo esercizio interpretativo che potrebbe farci comprendere in anticipo le future evoluzioni dello scenario politico italiano nei prossimi mesi, rimane circoscritto a un pubblico ristretto. Ecco perché il dato più interessante dell’intervista a Giorgia Meloni, non è tanto il contenuto in sé, quanto paradossalmente lo diventa il contenitore.

È la scelta di affidare a un settimanale gossiparo, di voyeurismo patinato la propria immagine, senza temere che questa cornice popolare le possa far pagar dazio, in termini di reputazione.

Anzi, nella logica mediale e narrativa di Giorgia Meloni di voler essere al contempo un leader politico e una celebrità di tutti i giorni, che non crea distanza e distacco, quindi immersa come qualunque altro di noi, suoi follower e concittadini, negli affanni e nella logorante routine quotidiana, non c’era una soluzione migliore di questa.

La matrice editoriale del settimanale diretto da Alfonso Signorini è la sintesi perfetta di questa visione disintermediata della celebrità contemporanea, a prescindere dall’ambito in cui si esercita, spettacolo, sport, cultura o politica.

Ogni settimana, il lettore-spettatore sfogliando le pagine di Chi porta a compimento quel processo di immedesimazione orizzontale, di latente condivisione delle medesime emozioni vissute dai suoi Dip, i digital important person, che hanno rimpiazzato i vetusti Vip, e che a tutte le ore del giorno può incontrare online sull’uscio della propria bacheca. Se così stanno le cose, allora è chiara l’importanza strategica del contenitore, del mezzo che diventa esso stesso messaggio, giusto per citare il più celebre dei principi descritti dal sociologo canadese Marshall McLuhan, per dare forza e credibilità al racconto meloniano di questi anni.

Non di meno, c’è da considerare almeno altri due aspetti, nient’affatto marginali per un leader politico, che sono legati alla scelta di rispondere alle quindici domande di Chi.

Innanzi tutto, l’intervista ha consentito di allargare la platea dei pubblici che solitamente possono essere raggiunti mediante i canali convenzionali, ma in particolare, di affrontare temi specifici, come la maternità o la condizione femminile nel mondo del lavoro sui quali la Meloni si è opportunamente soffermata, raggiungendo dei lettori che li considerano potenzialmente prioritari e che mai avrebbero comprato e letto, con leggerezza e interesse, le pagine di un quotidiano come la Repubblica, il Corriere o la Stampa.

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